La costanza con la quale Julien Pras ha manifestato la sua passione per Elliott Smith e la musica psichedelica dei primi anni 70 merita rispetto. Del resto, nella sua carriera con i Calc (sei album dal 1999 al 2007) Pras non ha mai rifiutato i paragoni ingombranti, che spesso etichettavano la band come "i Guided By Voices francesi".
Il suo primo progetto solista, pur sfiorando le mille copie vendute, non era riuscito a trovare accoglienza nelle fitte maglie della critica internazionale: “Shady Hollow Circus” non solo rinnova le migliori intuizioni del musicista francese, ma chiede vendetta e riscatto per un artista da scoprire assolutamente.
Non si può tacere della grossa influenza che Elliott Smith ancora esercita su Julien Pras, referenza non solo stilistica ma anche creativa: le dodici canzoni di “Shady Hollow Circus” sono un viaggio nel songwriting più raffinato e discreto che ha avuto grandi mentori in personaggi come Harry Nilsson, Louis Philippe e Curt Boetcher. La lunga carriera con i Calc ha inoltre contribuito a rafforzare una visione sonora d’insieme molto forte, così che gli arrangiamenti non soffrono delle ingenuità tipiche di molti album di pop psichedelico che continuano a sbucare da qualsiasi angolo del globo.
Sempre vibrante e gioioso, “Shady Hollow Circus” affida a raffinate intuizioni strumentali le peculiarità stilistiche dell’autore: ecco organetti vintage quasi barocchi e sfavillanti chitarre acustiche incoronare il riff più immediato del lotto, ovvero quella “Seven More Hours” che rafforza il legame con il miglior Smith, mentre quando si è giunti al finale di “Watchman Blues” tutto diventa ancor più intenso e speziato, con un crescendo psichedelico che non si ascoltava dai tempi dei Radiohead di “The Bends”.
Il perfetto equilibrio degli elementi più critici (come l’orchestra e le nuance psichedeliche) è la più bella sorpresa di quest’album: ci si può così cullare nella malinconica purezza lirica di “Angel Of Mercy” o nei meandri progressive anni 70 di “Ghost Patrol” (quasi Genesis era-“Foxtrot”) senza mai perdere in raffinatezza.
Giocando abilmente coi chiaroscuri, Pras dà poi forma a meraviglie liriche (Daily Battles”), frammenti di country sopiti nella memoria ("Here On The Moon"), allegorie teatrali ricche di mistero (“Funeral Mute”), poesie crepuscolari (“Missionary Run”), e pause di romanticismo prive di dolcificanti (“Shady Hollow Circus”).
Abile illusionista dei tempi moderni, Julien Pras convince e affascina pur senza raccontarci nulla di nuovo; mai banale, sempre ricco di intuizioni liriche, il suo secondo album solista è il biglietto d’ingresso definitivo per ottenere un posto tra i più intelligenti seguaci di Van Dyke Parks e Brian Wilson.
(17/10/2013)