Lenny Smith

La sua prima canzone l’ha scritta in una sera d’autunno del 1965, tra le mura di un seminario del Maryland. Nella vita, poi, Lenny Smith ha seguito un’altra vocazione, mettendo su una famiglia di ben cinque figli. Ma non ha mai smesso di scrivere canzoni. Canzoni nel solco della tradizione folk e gospel americana, come quelle che Johnny Cash amava cercare nel libro degli inni lasciatogli dalla madre. E adesso, superata la soglia dei settant’anni, Smith ha deciso di tornare ad aprire i suoi cassetti ingombri di musica.

Dalla pubblicazione del suo ultimo disco, “Deep Calls To Deep”, sono passati ormai dodici anni. Eppure, Smith non è rimasto lontano dalla scena musicale contemporanea. Anzi, si è fatto mentore di una nuova generazione di artisti, desiderosi di riscoprire il senso religioso e lo spirito comunitario della musica della loro terra. Merito anche dei suoi figli, che hanno dato vita al collettivo indie-gospel Danielson (di cui ha fatto parte anche un certo Sufjan Stevens) e hanno creato l’etichetta Sounds Familyre (che annovera tra le sue fila nomi come gli Woven Hand di Dave Eugene Edwards). A sua volta, Smith è stato tra i fondatori della Great Comfort Records, che negli scorsi anni ha tenuto a battesimo un altro gruppo dall’impianto profondamente corale: i Bifrost Arts, un progetto votato a ridare attualità alla tradizione della musica sacra d’Oltreoceano, con il coinvolgimento di songwriter del calibro di Damien Jurado e David Bazan.

Se insomma il nome di Smith è legato soprattutto al fatto di avere scritto nel 1974 uno degli inni sacri più cantati d’America, “Our God Reigns”, la sua musica fa in realtà da capostipite di una scena attualissima: non a caso gli Welcome Wagon, saliti alla ribalta l’anno scorso con i loro sermoni folk-pop a due voci, hanno incluso proprio una cover di Smith nel loro album d’esordio.
La Great Comfort Records accompagna quindi il ritorno discografico di Lenny Smith, “Who Was And Is And Is To Come”: una raccolta di tredici canzoni scelte tra le centinaia accumulate da Smith nel corso dei decenni e registrate con l’ausilio di figli, amici e persino nipoti. Tutte animate da un’unica ispirazione di fondo, che è la stessa da cui è nata l’avventura della sua label: non un’azione, ma una reazione. Una reazione alla bellezza della realtà, che spinge ad alzare lo sguardo “non come un’attività da fare alla domenica, ma come una necessità quotidiana per chi tiene gli occhi aperti sul mondo”.

Come spiega Smith presentando il nuovo album, “nel termine gospel (letteralmente ‘buona notizia’) è implicita la sicura speranza che, in ogni storia, i capitoli feriti, curvi e spezzati saranno seguiti da capitoli di riparazione, di costruzione e di creazione”. Ecco allora gli arpeggi di “The New Jerusalem” introdurre la visione di nuovi cieli e terra nuova, in cui dissetarsi alla fontana della vita. Tra il brio festivo di “How Blessed Is The Man” e il raccoglimento di “Arise My Love”, il taglio diretto ed essenziale delle atmosfere esalta arrangiamenti acustici e intrecci vocali, mettendo a nudo al tempo stesso qualche linearità di troppo nella costruzione dei brani. I versi intrisi di suggestioni bibliche fanno pensare inevitabilmente al Dylan della fase gospel, ma immaginando un Rick Rubin alla consolle e un tono pacificato di celebrazione al posto delle pagine minacciose dell’Apocalisse.

Per trent’anni, Smith ha fatto il falegname. Ha sempre amato occuparsi di musica, ma secondo lui “non c’è la stessa soddisfazione che si prova a costruire qualcosa con le proprie mani”. Eppure, a vedere la fioritura di giovani artisti che lo circonda, si direbbe che le sue canzoni abbiano costruito qualcosa di ancora più duraturo. Più che il ritorno di un songwriter dimenticato, “Who Was And Is And Is To Come” è allora anzitutto la testimonianza di un padre. E di quello che vale la pena trasmettere ai propri figli.

04/03/2013