I trabocchetti che i Mazes seminano in "Ores & Minerals" sono d'antologia. Si tratta di melodiosi sentieri di chitarre intrecciate, complicati da svolgere, con il labirintico potere di ammaliare e ipnotizzare. La voce di Jack Cooper rimescola timbri vocali di anni passati, pigliandoli qua e là tra un Ben Gibbard (Death Cab for Cutie) e Andrew VanWyngarden (MGMT). La basilarità della triade chitarra-basso-batteria è la chiave di volta per una band che dalla semplicità estrae nidi musicali compatti, sui quali è facile compiere voli psichedelici nella quarantina di minuti che scandiscono temporalmente il disco. Ma per i quattro di Manchester, formatisi nel 2009 e già genitori di un album favorevolmente apprezzato dalla critica e dal pubblico ("A Thousand Heys"), i paragoni non sono dei più scontati e semplicistici.
Certo, ascoltando "Ores & Minerals" non è possibile negare loro il piacere di un suono psych-lo-fi (Jacco Gardner), di chitarre sporcate da fuzzy pedals (White Stripes) e da amplificatori valvolari a un cono (Wilco), ma non c'è solo questo. Gli "enigmisti inglesi" possiedono la capacità di creare incastri armonici che, se ascoltati avvicinando l'orecchio al cuore, paiono semplici, gestalticamente perfetti nella forma e nei modi; invece, restringendo il campo uditivo, prestando la nostre acuità attentive più raffinate alle sovraincisioni delle chitarre, alle risposte seccate del basso di Conan Robertsalle e alle finte e contro-finte della batteria di Neil Robinson, iniziamo a comprendere quel plus, quella complessità di fondo che avvolge l'opera.
La questione degna di nota diventa quella di rendere scorrevoli certi rivoli musicali disseminati da trappole, da meccanismi studiati a tavolino con ingegneristica precisione, gravi al solo pensiero, circondati però dalla poesia psych dei giorni nostri, che li rende leggeri e melodici al gusto. Perché quando attacchi un pezzo come "Ores & Minerals" con un simil gong orientale, una drum machine e una chitarra che canta un loop scanzonato e guascone, hai davvero capito cosa vuoi fare nella vita da musicista: divertirti alla faccia di chi non riesce a mollare le briglie, di colui che non vuole lasciarsi andare. E quindi, divertendoti su quelle sonorità vecchio stampo à-la Neu!, riesci a costruire un album ricco di spunti, di idee, di strumenti chitarristici riscoperti nell'utilizzo a tutto tondo, dai soli alle armonie, dai tappetti ai riff. In "Sucker Punched" e "Jaki" è presente l'influenza dei newyorkesi MGMT oppure dei Mano Negra nella corsa contro il tempo di "Delancey Essex", molto vicina ai suoni di "Out Of The Time Man" o dei Wilco in "Dan Higgs Particle".
E' però con "Bodies", "Slice", "Bite" che i Mazes illustrano in toto le proprie intenzioni e velleità: qui avviene la magia degli incastri sonori da tamburi meccanici, intrisi di psichedelia e cosparsi dalla polvere dell'originalità. Anche "Skulking", probabilmente più vicina a suoni degli attuali Thee Oh Sees e di Ty Segall, è una buona dimostrazione di poliedricità, come non è da sottovalutare la tattica mossa a favore dei due brevi interludi tra tastiere ("Significant Bullet") e clavicembali ("Leominster"), furbescamente piazzati nella tracklist.
Si tratta di eclettismo racchiuso in un ambiente psych-alt-rock, quello dei Mazes, che riescono a rinnovarsi e a convincere con il secondo prodotto, portando (o meglio riportando) la neo-psichedelia nella terra dei Lord, leggendola in chiave tipicamente British e lasciando alle spalle il suono americano d'oggi giorno.
21/04/2013