Nell’enorme ambito del metal a stelle e strisce, il nome dei Mox Nix dirà poco o nulla, eppure pare che il loro omonimo unico album uscito per la Axe Killer nel 1985 (sebbene passato largamente inosservato all’epoca da critica e pubblico) sia assurto da qualche anno a uno status da “cult record”. Formati in un sobborgo di Houston nella prima metà degli anni Ottanta, i Mox Nix (il nome è una storpiatura dal tedesco che starebbe a significare “non importa”) furono uno dei tanti gruppi americani influenzati dalla NWOBHM (ovvero, la nuova ondata di gruppi metal inglesi, come Iron Maiden, Angel Witch, Saxon etc.).
Realizzato un grezzo demotape nel 1984 (“All Access”, incluso per intero in questa ristampa), riuscirono a coronare il sogno di incidere un vero “full length” solo l’anno successivo, grazie all’interessamento della Axe Killer. Ascoltando oggi l’album non si riesce a comprendere appieno di come questi quattro ragazzotti texani non abbiano avuto il successo (anche di popolarità, quindi economico) che avrebbero dovuto non troppo difficilmente conquistare.
Il disco gode di una buona produzione e la pulizia tecnica del gruppo è lodevole (si ascoltino i fulminanti e brevi assoli di tutti i dieci brani dell’album e la compattezza della sezione ritmica). Magari latita un poco l’originalità, ma si tratta comunque di validi epigoni di band come i Riot (il primo gruppo americano a fare del “power metal”) e Diamond Head.
Dall’iniziale “Fight Back” alla conclusiva “Stand Alone”, il ritmo si mantiene sempre serrato, concedendo quindi poco alla facile commerciabilità. Non manca qualche accenno di sonorità più “soft”, come nelle quasi ballad “Make It” e “Stand Alone”, che per fortuna si tengono lontane da pacchianerie “hair metal” (diciamo che i primi Def Leppard ne sarebbero andati orgogliosi). “Scream For Mercy” mostra una buona intuizione crossover, in netto anticipo sui tempi.
L’edizione della Minotauro/Markuee amplia la già succosa precedente edizione in cd (curata dalla stessa Axe Killer nel 2001) con il demo del 1984, un paio di brani registrati nel 2000 (“Red Planet” e “Steal The Show”, che potevano benissimo risparmiarsi), altre due canzoni registrate niente meno con Bob Rock (“Fool’s Game” e “Don’t Push Your Love”, francamente non esaltanti) e una manciata di brani che dovevano andare a finire nel loro secondo album, che però non si realizzò mai a causa del fallimento della label. I Mox Nix si sciolsero da lì a poco.
La recente edizione della Minotauro è in formato gatefold, quindi apribile, contenente addirittura memorabilia varia (le foto promozionali della band fornite dall’etichetta di allora) e un poster piegato in quattro con delle note informative sul retro. La qualità sonora è forse troppo compressa e gli alti distorcono un poco, specialmente se si alza il volume. “Mox Nix” è magari un disco che è stato sopravvalutato a posteriori, ma rimane pur sempre un discreto classico minore del power metal americano.
22/09/2013