77A Charterhouse St., Greater London EC1M 6HJ. Questo, né più né meno, l'indirizzo della storia. Alle cinque del mattino, pur nel cuore di Londra, ci vedi le volpi che rovistano nella spazzatura. Una strada, una via, come un'altra. Ma è lì che si è scritto un pezzo importante di quel che noi tutti ascoltiamo, percepiamo, balliamo. Il Fabric. File lunghissime per entrarci, tre stanze, pareti in mattoni e volumi allucinanti. Ci entri col buio, ci esci col sole a est. La Londra che pulsa, che espande nel globo il suo grido. E che, tramite una compilation, da 68 episodi, chiama dj a dar voce a questa storia.
Il "Fabric 69" però è diverso, è la storia al cospetto della techno, o viceversa, decidete voi. Un universo di significati, quella della Sandwell District. Regis e Function ai controlli, e quasi ogni spiegazione diviene superflua. Un mondo, quello di Karl O'Connor e Dave Sumner, ai limiti dell'umano e una creatura, Sandwell District appunto, che elabora, sviluppa e definisce un senso di struttura e di umanità che ricalca una semantica assolutamente definita.
Lo spazio per il colore, i signori della Sandwell District lo lasciano ad altri. Loro sono qui per fare altro: scavare. Un mix fenomenale per varietà e profondità, che traccia una vera e propria declinazione di quel che è ora la techno, nel suo spettro più ampio possibile. E lo fa coinvolgendo quegli artisti che hanno trovato nel senso estetico del 4/4 lo sfogo alle loro pulsioni, fossero queste rette da sfuriate noise o impeti industrial. Fabric69, in questo senso, è una fotografia lucidissima di quel che la techno, hic et nunc, offre.
Quindi il registro della Blackest Ever Black/Modern Love, Prurient/Vatican Shadow, Rrose, Raime. L'appendice dark, e quindi spazio alla vena quasi trance di Silent Servant, Boyd Rice, dall'old school, tra Carl Craig e James Ruskin. E tutto questo fino a coinvolgere un concetto, quello appunto di techno, vivissimo nel mietere vittime al grido di fonderie arse vive da un Surgeon qualsiasi, uno capace di infiammare (o affogare, decidete voi) qualsiasi cosa gli si pari innanzi.
Ed è proprio in questa varietà sconfinata di beat che la premiata ditta Sandwell trova il fil rouge, l'unione del tutto. Prima in apertura l'atmosfera sospesa sul baratro, poi l'edit di Regis su "Loss" di "Ike Yard" spalanca le porte ad un burrone nel quale gettarsi. E, in un ideale scena di disperazione, l'uomo che si suicida non troverebbe miglior colonna sonora per gettarvisi, in quel burrone. Fiedel accelera i bpm, Mary Velo, acidità tout court, dà il via a una sassaiola in palleggio rilassato. Qualche momento di relax, si fa per dire, e poi Function e la sua "Modifier" rilanciano il dramma. Il volo di "Darkness", a firma (riconoscibilissima) Carl Craig gioca ancora di fino in casa Detroit con scie in andirvieni, prima di lanciarsi negli abissi firmati Markus Suckut e Samuel Kerrigde. Gente che non le manda a dire e ti erge muri compassati in cemento armato.
Poi arriva Untold e la sua "Motion Dance" che rimbalza synth circolari e luce - deo gratias - in ogni dove, salvo poi sterzare violentemente in una techno megacida. Agli spettri di "As You Breathe Here Now" di Surgeon ci s'arriva quasi sfiancati, salvo resuscitare grazie a Mark Ernestus (Basic Channel, cosa senno'?) a dubbare in superficie prima di mollare le redini ad uno-due capolavoro, tra trance e bpm in ascesa (Plastikman+Trevino). A chiudere le danze, routine per modo di dire, Luke Slater, sua maestà James Ruskin, Laurent Garnier, Factory Floor e Function.
Compendio ideale, fotografia lucidissima e quanto mai attuale, l'episodio 69 delle compilation Fabric è una lezioncina di storia. Londra vi sembrerà scurissima e pericolosa nel mezzo della notte. In realtà, proprio come uscendo dal Fabric all'alba, vi sarete accorti di non aver visto altro che la luce.
01/05/2013