Nel corso della sua ormai pluri-trentennale carriera, Steve Roach ha condotto la sua ricerca ambientale verso una miriade di territori. Dopo la fase etnica degli anni ottanta, i tribali dei primi novanta, l'atarassia cosmico-spaziale di fine millennio e l'ambient-trance dei primi Duemila, negli ultimi dieci anni il californiano ha equamente diviso la sua produzione, dedicandosi ora ad una ora ad un'altra delle sue sfumature creative. Il risultato di questa pratica si è concretizzato nell'esplosione creativa che ha caratterizzato la sua produzione a cavallo tra 2002 e 2009, lievemente affievolitasi negli ultimi tre anni.
Gli ultimi bollettini musicali di Roach avevano lasciato intuire la decisione di “ridurre” la propria prolificità (comunque stabile sui due-tre dischi all'anno fra solos e collaborazioni) in favore di una maggiore cura del dettaglio. E i risultati hanno potuto confermare la bontà di tale scelta: il flirt con la moderna drone di “Back To Life”, l'inatteso intimismo acustico al fianco di Dirk Serries in “Low Volume Music” e l'ipnosi caustica del più recente “Tales From The Ultra Tribe” possono annoverarsi fra le prove più riuscite dei suoi anni Duemila.
Questo nuovo “Soul Tones” torna a mettere l'accento su quella che è l'arte di cui il californiano resta a tutt'oggi sovrano incontrastato: l'ambient music pura, di stampo cosmico. Quella stessa che aveva visto il suo baricentro storico nel 1996 nell'insuperato capolavoro “The Magnificent Void”, e che aveva vissuto un'iniezione di nuova linfa vitale grazie alla serie multimediale delle “Immersions” - apice della produzione contemporanea di Roach tutta. S
Sono due suite a comporre per intero l'album: la title track e “Resolved”. Nei tre quarti d'ora della prima, le ormai classiche sinewaves di Roach si producono in un dialogo soffice che mancava dai tempi di “Afterlight”, legandosi e slegandosi progressivamente al silenzio, immergendosi in un oceano profondo per riemergere a intermittenza. I suoni si fanno più organici nella mezz'ora scarsa della seconda, dove l'intreccio dei flussi diviene più corposo e stretto, quasi a voler rappresentare il raggiungimento dell'equilibrio ricercato in precedenza.
Annunciato come primo capitolo di un'ipotetica trilogia sull'esplorazione dell'anima – legata nel sound e nel concept, ma non presentata come “saga”, come furono “Mystic Chords & Sacred Spaces” o le già citate “Immersions”-“Soul Tones”, ci presenta uno Steve Roach in forma smagliante, intento nel fornire l'ennesima lezione di ambient music. Inutile ribadire la supremazia di un musicista che si conferma apparentemente incapace di smarrire la sua creatività, nonostante lo sfrenato sfruttamento della stessa di cui si è reso protagonista per un intero decennio.
Immortale, come la sua musica.
31/01/2013