C’è una bella, suggestiva immagine alla base della musica di Austin Crane, ovvero Valley Maker: la propria interiorità tratteggiata attraverso i pendii scoscesi, scuri e gli improvvisi spiazzi erbosi solcati dal vento di una valle, tanto più nascosta e impervia quanto più vi si procede. E nel titolo, elegiaco, di questo secondo disco autoprodotto, si nasconde il ritorno di Crane a una dimensione più personale del proprio cantautorato, dopo la narrazione ispirata all’Antico Testamento del primo, omonimo album.
In “Yes I Know I Loved This World” si trova, amplificato e interiorizzato, il carattere spirituale, rivelatorio, eremitico di Valley Maker, questo richiamo, roco e appassionato, proveniente da anfratti sperduti dell’anima.
Dopo il più Oberst-iano esordio, a tratti davvero trascinante nella sua tensione emotiva, Crane conferisce toni più sommessi alle proprie canzoni, con un uso dell’acustica scarno e suggestivo, uno stile maturo da profeta del cuore, sulla scia del primo Vernon (il riff di “Only Friend”, “Goodness”), Molina e O’Connell (“Pretty Little Form”, “Only Time”).
Rimane caratteristico il graffio elettroacustico della chitarra, il bagaglio di immagini bibliche (“The Mission”) che rendono il tutto incredibilmente vivido e danno un carattere immaginifico alle canzoni di Crane, spesso rivolte a un interlocutore, a un amore (la struggente “Another Way Home”). Piuttosto interessanti gli episodi – tra i quali quest’ultima citata – più acustici, che mostrano un fingerpicking metallico e cangiante, fortemente evocativo (“Take My People Dancing”).
Forse meno emozionante e leggermente meno ispirato dal punto di vista compositivo del precedente, “Yes I Know I Loved This World” è l’ennesima dimostrazione di come i migliori pizzicatori – di corde di ogni tipo – si trovino nascosti, il più delle volte, dove meno te li aspetti – nelle valli più inesplorate.
21/09/2013