La Hic Sunt Leones, l'etichetta portata avanti da Alio Die e nata inizialmente come catalogo per i suoi lavori, ha da qualche tempo aperto le sue frontiere anche a produzioni firmate da altri musicisti. Fra i primissimi ad avervi avuto accesso c'è Gino Fioravanti, che fino a qualche tempo fa condivideva lo pseudonimo di Aglaia con l'amico Gianluigi Toso, e che con il veterano dell'ambient music spirituale ha collaborato in svariate occasioni, firmando per altro al suo fianco uno dei capolavori degli ultimi anni di musica atmosferica (“Vayu Rouah”, datato 2011). Da allora, Aglaia e Hic Sunt Leones viaggiano su due binari paralleli, che sono rimasti tali anche dopo la trasformazione dell'act in progetto solista di Fioravanti.
Una mutazione che ha condizionato profondamente la natura del progetto, oggi veicolo unico delle meditazioni di un artista che nella vita insegna yoga, e che ammette caldamente l'importanza ricoperta dall'ex partner nella traduzione in musica delle sue ambientazioni interiori. Un ruolo la cui mancanza si riflette in una decisa semplificazione del soundscape, oggi formato quasi esclusivamente da loop, tastiere e field recordings. Questo cambio di assetto non ha potuto che giovare al soundworld di Aglaia, oggi più che mai espressione sincera e diretta del suo ideatore, senza più alcun tramite che ne condizioni la resa sonora. Quella che ci troviamo di fronte è dunque ora sostanza spirituale pura, che diviene suono senza contaminazioni esterne altrui.
Di questa nuova fase, “Intangible Opacity” rappresenta probabilmente il vertice assoluto, un superamento del già ottimo risultato ottenuto con il precedente e plumbeo “Centurion” e con il contemporaneo e più ermetico “Primevar Niebula”. Qui a trionfare è invece una serenità sospesa, un vuoto ospitale quanto sconosciuto, una sorta di Nirvana che sussiste rafforzandosi progressivamente. Uno stato che necessita però di essere raggiunto, e verso il quale la scaletta sembra guidare. Così i punti di riferimento scompaiono di brano in brano, nascendo in forma di giravolte sintetiche e note sparse su “Magnetoionica” e tornando a palesarsi come parte integrante del tutto nella meravigliosa conclusione di “Protonosfera”, autentica culla dei sensi guidata da flussi acquatici e rintocchi limpidi.
Nel mezzo, però, la percezione sensibile tende, per necessità, a ridursi progressivamente fino a sparire completamente. Nel carillon di “Polar Cap Absorption” l'impressione è quella di una glaciazione senza ritorno, ma già a partire dal candore inedito di “Riometro” la situazione cambia radicalmente. Parafrasando il titolo, l'opacità si fa via via più intangibile, invisibile, estranea ai sensi, dunque inquietante: così se in “Jy” sembra calare la notte, “Fon” rivela la vera natura del buio, dissimula il contatto con l'ignoto, l'estraniazione da ogni dimensione esteriore. Ma superato il timore e messa da parte la necessità di punti di riferimento, in quell'ignoto stesso si palesa la serenità conosciuta in precedenza con i sensi, riconvertita in forma di luce pura su “Aereoplancton” e riportata ad uno status conoscibile mentalmente su “Whistlers”.
Il compimento del tutto sta però nella title track, nella cui indefinibile nebulosa si condensa il carattere meditatvo di un cammino che fino a prima avrebbe potuto essere confuso con un sogno o con un frutto di una fervida immaginazione. Venendo a mancare ogni sostanza e ogni forma, invece, la natura interiore ed esclusiva del cammino è affermata senza possibilità alternative. Una caratteristica che continua, ora più che mai, a rendere unica la musica di Aglaia.
30/01/2015