Antenna Trash

Hanami

2014 (autoprod.)
alt-rock
6.5

Quello che segue alla pubblicazione dell’Ep “Ded Comes For Ded” del 2011 per gli Antenna Trash, veronesi, è quanto di più promettente: l’entrata in studio per registrare il loro primo full-length, completamente in analogico. Dopo le dispendiose e non semplici sessioni di registrazione, però, per i giovani musicisti inizia un periodo di stallo. Il gruppo, dopo aver invano cercato una label, si disperde e per mesi sparisce nel nulla. Finché, nel 2014, “Hanami” è finalmente pubblicato, liberamente scaricabile dal loro Bandcamp, senza etichetta, e a gruppo ormai sciolto.

Le promesse nella sostanza sono comunque saldamente mantenute. Dalle stesse sessioni gli Antenna Trash hanno anche cavato un singolo, non incluso all’album, “Pyramids” (2012), un meccanismo a orologeria che testa la strumentazione analogica in uno sfavillio psych-pop, e anzi vi attinge a piene mani senza risparmiarsi.
E’ solo la matrice per “Hanami”: qui il suono è denso e apocalittico, in grado di riprendere il loro post-punk ma contemporaneamente di romperne gli argini. Un buon esempio è “Thoughts To Hide”, dapprima parata shoegaze pesante e caotica, quindi incalzante revival del suono madchester, infine progressione marziale. Anche “6’05” Damore”, con lunga introduzione, più subliminale al limite della dissonanza perenne, debordante nell’acid-rock e nei trip della baia di San Francisco, pur rimanendo a basso voltaggio - ma pulsante in senso industriale e cosmico - è un frankenstein non meno disorientante.

Il canto è spesso giustapposto e artefatto, ma l’inno tossico con contrappunti a cappella di “Arms To Heaven”, quindi trasformato in grandioso corale di alieni, è il caso in cui più si fa ascoltare; “Bonfire”, arricchito di una jam ribattente e sulfurea, e “Sea Of Joy”, con le sue indiavolate rullate di batteria, ne sono le versioni relativamente ripulite. In “Pieces” effetti alla Animal Collective trasformano di continuo una cantata da pub in una salmodia gregoriana sull’ottovolante.
La cantilena corale di “Holy Fire” è avviluppata in vibrazioni industriali, quindi diventa un mostruoso samba di zombie, ma - di più e meglio - il valzer-jazz elettronico di “Afraid Of The Time” suona come una cantilena allucinogena che man mano s’incendia, una struttura progressiva ricolma di elaborazioni soniche che si disintegra in tastiere psichedeliche. Il tono è in generale maestoso e quasi aulico, e nemmeno i suoni di videogame che innervano la jam in instabile accelerazione di “Cornfields” fanno alcunché per ridimensionarlo (anzi forse lo rendono anche più snob).

Primo e ultimo (postumo) disco del combo veronese. Vive di eccessi, di mille elaborazioni e di suoni amplificati e modificati, anche oltremodo rigurgitanti e fuori misura. Nel suo miscelare psichedelia e art-rock, dinamismo e smarrimento, cacofonia, cadenze cingolate, è comunque un caposaldo della new wave italiana anglofona. Per la band vuole esprimere il “tentativo dell’uomo di tornare in armonia con la natura” (l’hanami, in Giappone, è il rituale di contemplazione della rinascita primaverile). Produzione a tre, con Stefano Moretti, Pierluigi Ballarin e Bruno Barcella.

16/05/2014

Tracklist

  1. Holy Fire
  2. Pieces
  3. Cornfields
  4. Arms To Heaven
  5. Afraid Of The Time
  6. Thoughts To Hide
  7. Bonfire
  8. Dead Satellite
  9. 6’05” Damore (Orphic)
  10. Sea Of Joy 

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