Un giorno, al suo risveglio, Travis Laplante ha un'immotivata ma lucida visione per un progetto da realizzare specificamente assieme ad altri tre sassofonisti: Matthew Nelson, Jeremy Viner e Patrick Breiner, incontrati casualmente in varie occasioni e raggruppati dal suo inconscio a formare un quartetto di fiati.
Nulla di inedito nell'ambito della musica contemporanea, che già da tempo aveva scoperto questa formazione e le sue potenzialità: nello specifico pensiamo alla corrente minimalista, dalle partiture di Michael Nyman per “Drowning By Numbers” di Peter Greenaway (ma nel suo catalogo non è l'unico esempio) al concerto per quartetto di sax e orchestra di Philip Glass; ma non dimentichiamo il contributo del nostro illustre connazionale Salvatore Sciarrino, autore di una singolare versione spazializzata dal titolo “La bocca, i piedi, il suono”, con quattro solisti e altri cento sassofoni in movimento.
Quelli del progetto Battle Trance sono tutti sax tenori: una scelta che porta a percepire uno stesso suono in quattro diverse configurazioni, sia che le note suonate siano le stesse, sia che si seguano linee melodiche differenti. “Palace Of Wind” sfrutta in maniera estensiva la consolidata tecnica del “respiro continuo”, necessaria per l'esecuzione dei capolavori di Glass e ampiamente rielaborata più di recente dal virtuoso Colin Stetson nella trilogia “New History Warfare”.
Da principio un soffio monotòno raggruppa le voci, che vanno permeandosi l'una con l'altra sino a librarsi in una nuvola cangiante; i pattern si addensano con una lentezza meditativa ma si susseguono nel giro di pochi minuti. Il primo movimento arriva a sfiorare la struttura a cerchi concentrici della "Music For 18 Musicians" di Steve Reich, spaziando agevolmente dalla ripetizione mantrica alla vera e propria trance: lo stesso Laplante racconta di sedute preparatorie con esercizi di respirazione e tentativi di progressivo “allineamento” delle diverse identità musicali, oltre al perfezionamento delle tecniche adoperate.
La struttura in tre movimenti sembra ricalcare (almeno inizialmente) quella dei concerti classici, ma nel bel mezzo del secondo movimento andante gli sviluppi della composizione tornano ad assumere una forma più libera, con accenti che sfiorano il rumorismo e, più avanti, persino l'onomatopea faunistica. Il terzo movimento occupa tutta la metà restante dell'opera, e torna a configurarsi come una linea retta da cui sorge un timido spiritual ridotto ai minimi termini, per tornare infine ai pattern circolari nello stile di Stetson con un ripiegamento alquanto sommesso negli ultimi minuti, anticipati soltanto da un ronzio sordo e inaspettato.
Purtroppo “Palace Of Wind” si risolve in termini poco convinti e convincenti, nonostante da principio si annunciasse come un ascolto decisamente avvincente. Un vero peccato che la chiarezza d'intenti del primo movimento si disperda nei successivi, ugualmente schematici ma soggetti a variazioni più spontanee e soluzioni – a onor del vero – poco originali e una frammentazione dei climax ancor meno avveduta.
Debutto che forse sconta la genesi un po' aprioristica del quartetto, che unisce musicisti indubbiamente preparati e con una già evidente sinergia, laddove invece deficitano ancora delle solide basi compositive. A quanto pare Laplante sta già mettendo mano a una seconda opera per lo stesso ensemble: c'è da sperare che il lungo tour attualmente in corso consolidi ulteriormente la loro intesa e li conduca a un risultato più maturo e, forse, anche più temerario.
08/09/2014