Finanziato attraverso la piattaforma Pledge Music, l’album di Willie Dowling (Honeycrack, Jackdaw4, The Grip) e Jon Poole (God Damn Whores, Cardiacs, Ginger Wildheart Band, The Wildhearts) è stato registrato in completa autonomia dai due musicisti in uno studio francese.
“Bleak Strategies” supera tutte le migliori aspettative di chi conosce il percorso dei due musicisti, dieci tracce di pop-rock che abbracciano tutta la migliore tradizione inglese: dai Kinks agli Xtc passando per 10cc, Elo e Squeeze, pagando comunque il pegno ai Beatles.
Messo da parte il prevedibile effetto deja-vu delle undici tracce, quello che lascia stupiti è la qualità del songwriting e degli arrangiamenti, che candidano l’album dei Dowling Poole come uno dei migliori album di pop degli ultimi tempi.
Pop-rock inglese al cento per cento, che fa sua l’irriverenza e la bizzarria degli Xtc di “Orange & Lemons”, sfornando canzoni amabilmente nonsense come “Hey Stranger” o piccoli capolavori irriverenti alla Ray Davies (“Saving It All For A Saturday”) oltreché costruzioni armoniche che suoneranno familiari ai fan dei gruppi madre, ovvero la splendida ballata in uptempo “Paper, Scissors, Stone”, che in pochi minuti mette insieme le intuizioni di “Nonesuch” degli Xtc e le dissonanze vocali dei 10cc di “How Dare You”.
Non c’è un brano che risulti greve o privo d’identità in “Bleak Strategies”, Dowling e Poole non nascondono dietro facili soluzioni ad effetto le loro matrici: così i Beatles di “Yellow Submarine” si agitano con una ingegnosa flessibilità lirica dietro “Empires, Buildings and Acquisitions”, mentre i Madness sposano la coralità degli Elo in “A Kiss On The Ocean” e nessuno si offenderebbe se “Hey Stranger” fosse inclusa in un album qualsiasi degli Xtc, anche se “English Settlement sarebbe il luogo più adatto alle geometrie folk-psych-pop del brano.
L’idea geniale dietro l’album dei Dowling Poole è la completa mancanza di rispetto per i canoni dell’adult pop, qui tutto è finalizzato all’estasi goliardica del beat e del pop psichedelico che si agitava nelle strade di Londra negli anni Sessanta, quella che solo i Pulp e i Blur sono stati abili a trascinare nel presente.
La verità è che da anni nessun gruppo è stato capace di offrire pop-song come “The Sun Is Mine”: un mix di beat e psichedelia in bilico tra i Pink Floyd degli esordi e i sempre presenti Xtc.
Come tutti gli album pop che si rispettino, alla prima parte più vivace e immediata, fa da contraltare una seconda più introversa ma sempre gioiosa e ricca di brillanti armonie.
“Twilight Subplot” si contagia di influenze prog e psych, con tortuose geometrie vocali e strumentali che sfociano in un liberatorio finale orchestrale con archi, fiati e percussioni in festa; il brano è splendidamente incorniciato tra la coralità pop-fun di “Where The Memories Fester” e la psichedelia sfuggente di “Getting A Licence”, che in pochi minuti cita Squeeze, Stone Roses, 10cc e Beatles (l’apertura suona un po’ “Rain”).
Anche il finale è degno della statura da future-classic di “Bleak Strategies”, “Clean” è una mini-sinfonia che parte da “Hey Hude” per immettersi nel tunnel del prog sinfonico e delle sue contaminazione col modo dorato del pop. Insomma, soddisfatti o rimborsati.
04/10/2014