Joan Wasser lo aveva dichiarato agli esordi, nel soul aveva trovato l’energia che la musica punk non riusciva più a comunicarle, la viscerale eleganza della black music metteva in connesione i suoi studi classici e la sua rabbia giovanile. Spesso si è caustici e poco inclini all’indulgenza nei confronti dei nostri idoli, e sono sicuro che molti troveranno “The Classic” un tradimento delle promesse stilistiche della musicista. Quello che non riusciamo a perdonare a un’artista è il suo desiderio di essere felici: sì, Joan Wasser è felice, e non ha alcun timore di raccontarcelo.
La violinista e cantante americana, in verità, non ha mai celato le sue più profonde emozioni: né quando coi Dambuilders provava l’ebbrezza del successo, né quando la morte del suo compagno Jeff Buckley e della madre avevano messo a dura prova la sua voglia di vivere.
“The Classic” è un album di canzoni dal fascino non sempre immediato. L’apertura di “Witness” non è casuale, in essa è racchiusa la nuova attitudine di Joan As Police Woman: un classic soul proiettato nel presente con tutte le incertezze e le tensioni contemporanee, primo frutto di una rinascita spirituale che fa seguito a una profonda depressione che sembrava averla inghiottita, e che ha superato grazie ai consigli di alcuni amici buddisti.
La presenza di Joseph Arthur e di Reggie Watts per il pregevole doo-wop nella title track rafforzano questo stato di stupore e curiosità per le diversità culturali, ed è lo stesso palpito che la spinge a mettere insieme organo, fiati e un riff dondolante nella splendida “Holy City”, per raccontarci il suo viaggio in Israele e le potenti sensazioni che ha vissuto al muro del pianto osservando l’estasi della fede.
Senza dubbio quando le atmosfere sono cupe e sofferte si avverte ancora quella sublime malinconia che aveva reso il suo mix di soul, funky, folk e rock cosi personale e coinvolgente. Scritta subito dopo “The Deep Field”, “Stay” è ricca di quel pathos e di quel tormento che animava il precedente album, lo stesso senso di disillusione e di sconfitta psicologica messo in scena in una delle rappresentazioni più dolorose dell’artista americana, ovvero quella “New Year’s Day” dall’incedere ritmico criptico e dalle taglienti note di chitarra, alfine inghiottite dal funesto arrangiamento d’archi, l’esegesi dark-soul più stimolante che possiate ascoltare.
Trovo comunque buffo che, mentre la riproduzione spensierata e calligrafica dell’ultimo album di Sharon Jones sia accolta come l’ennesimo trionfo del soul, sulla definitiva metamorfosi di Joan As Police Woman giungano critiche di retro-soul. Ma credo che basti ascoltare la frizzante e irriverente “Shame” (nella quale Joan si paragona al Cristo) per aver conferma di un talento capace di concentrare in pochi minuti tutta l’effervescenza, la versatilità e la raffinata intelligenza di Al Green e Minnie Riperton: è come se Otis Redding, gli Chic e Amy Winehouse suonassero insieme sullo stesso palco, puro soul-power.
Forse è lecito chiedersi se non avessimo frainteso, se i sogni di Joan non fossero meno ambiziosi e più umani, ovvero lasciarsi dietro il dolore per vivere le emozioni senza rimpianti: “Non voglio essere nostalgica per qualcosa che non è mai stato… non voglio vedere quegli occhi e non voglio fare quella corsa… non ricorderò la prima volta perché tornare lì e sentire che non mi sentivo cosi bene e che non era speciale, no non è mai stato così speciale” canta in “Good Togheter”, mentre un ricco flusso lirico soul si infrange contro un muro di chitarre noise e un organo scivola in sottofondo malizioso e insolente. La Wasser è tornata a parlare di affari di cuore e di piccole sensazioni quotidiane, lo fa con classe e malcelato romanticismo nella dolce “Get Direct”, destinata a essere uno dei suoi live-act più coinvolgenti, o con macabro sarcasmo funky in “What Would You Do”, dove getta un’ancora di salvezza a un amico in difficoltà senza ricorrere alla lusinga e alla facile comprensione.
“The Classic” è l’album più variopinto e solare di Joan As Police Woman. La decisione di approcciare un sound più diretto e curato è la novità più evidente del suo nuovo progetto; la delicata indolenza del reggae-soul di “Ask Me” non avrebbe mai avuto lo stesso candore prima della svolta, ora la qualità del suono è brillante e la voce si è arricchita di sfumature pop più decise. Certamente il ricordo della poco convincente performance a Giffoni Valle Piana come apripista di Patti Smith, causata da un’invasione di moscerini sul palco, mi aveva posto dei dubbi e delle perplessità, ma aveva anche stimolato la mia curiosità per questa donna dal complesso stato emotivo e artistico.
La chiave di lettura per questo nuovo progetto può solo scaturire da un’analisi attenta della sua evoluzione creativa: “The Classic” è un altro tassello di una discografia che resta stuzzicante ma ora anche più ricca, c’è una volontà di rimettersi in gioco e di abbandonare le certezze che solo i più distratti potranno cogliere come una parziale sconfitta. Questo è un album di potenziale easy listening che in verità chiede attenzione per essere veramente apprezzato.
15/03/2014