Presentando John Southworth come il figlio di Shelley, è possibile che abbandoniate subito questa lettura, ma se avete pazienza, potreste restare sorpresi dalla natura sonora di “Niagara”, nono album del musicista anglo-canadese.
Nessuna tentazione glam o ambizione progressive (il padre è coinvolto anche nelle fortune dei primi King Crimson), il suo universo stilistico mette insieme toni da poeta maudit più adatti a descrivere Lou Reed, Leonard Cohen o Bertold Brecht, mentre la levità degli arrangiamenti richiama Burt Bacharach, Harry Nilsson, Randy Newman e Van Dyke Parks.
Tutte queste meravigliose citazioni sono solo un piccolo accenno a quello che l’ascolto delle venti tracce dell’album potrà svelarvi.
In un panorama di musicisti in cerca di una verginità intellettuale e culturale spesso simulata, un personaggio come John Southworth è quantomeno singolare e atipico, non solo per aver dato alle stampe nel 2012 un album di jingle rifiutati dai registi di spot pubblicitari, ma anche per aver scelto di far muovere i personaggi di “Niagara” in due realtà terrene intercambiabili e complementari, ovvero l’America e il Canada, separate idealmente dalle famose cascate.
Abile artigiano del songwriting, John Southworth mette insieme canzoni suggestive e bislacche con un delicato mix di passione e teatralità, che sfiora i confini della commedia e del dramma, senza mai perdere la sua leggerezza e il disincanto.
Come Randy Newman, fa rivivere nelle sue canzoni quella piccola borghesia Americana mai messa in pericolo dalle crisi economiche, con storie surreali che si adagiano su up-tempo pianistici (“Help Yourself To Diamonds”), su una svogliata ninna nanna (“Irish Tree Alphabet”) o su un blues sincopato (“Hey I Got News For You”).
John Southworth mette comunque a fuoco tutto il suo genio lirico e armonico in quelle che sono le tracce più passionali e trascinanti dell’album: ovvero il fluido folk-pop alla Nilsson di “Ode To The Morning Sky”, il blues metà Tom Waits, metà Gilbert O’Sullivan di “Womb Of Time”, il gospel quasi natalizio di “Folk Art Cathedral” e il superbo romanticismo noir di “Weird Woman”.
Come tutti gli album di canzoni che meritano rispetto, “Niagara” mette in mostra tutto il suo valore solo con ascolti più attenti e ripetuti, il quasi jazz notturno di “Niagara Falls Is Not Niagara Falls”, la storyboard folk alla Bob Dylan di “The Horse That Swam Across The Sea”, il soave pop da musical di “Where The Mountain Makes The Clouds”, l’atmosfera da cabaret di “Fiddler Crossed The Border” e “If It Doesn't Please The Gods “, e il romanticismo alla Bacharach di “Pretty Angel Girl”, sono più di quanto sia possibile pretendere da un disco di cantautorato folk-pop moderno.
A rendere tutto ancora più gradevole è quel leggero tono nasale e disincantato della voce di Southworth, che si diverte a citare Dylan e Waits, abbandonando per un attimo compostezza e misura nella bizzarra ”Halloween Election”, e lasciandosi poi attraversare da una marea di emozioni nella conclusiva “Loving You”, la cui piacevole prevedibilità melodica suona come un monito per tutti quei cantautori dal profilo barbuto e dall’indole malinconico-lagnosa.
Un disco per sognatori eccentrici.
(07/12/2014)