Nati nel 1993 grazie all’interessamento del tastierista Vladimir Konovkin e del multistrumentista Alexander Chuvakov, i moscoviti Kalutaliksuak (moniker preso in prestito dalla mitologia degli eschimesi) si sciolsero quattro anni dopo, lasciando in eredità solo qualche bootleg di scarsa qualità. Nel 2006, il solo Chuvakov (nel frattempo diventato pittore professionista ed illustratore di libri) decise di riprendere il cammino, riuscendo nel breve volgere di qualche mese a pubblicare anche il primo, omonimo disco della band, che cercava di tracciare il proprio orticello in pieno territorio Zeuhl.
“Death Of The Aplinist”, lavoro numero cinque, è invece una combinazione di progressive, jazz-rock e psichedelia che ruota intorno a due lunghe suite, entrambe caratterizzate da una discreta dose di ispirazione. La prima, “Hard Climbing”, espone variazioni fusion che guardano con malcelata venerazione alla Mahavishnu Orchestra. In “Buried Horizons”, invece, è più accentuato il versante spaziale della loro tavolozza e la musica si dilata con un respiro più visionario, tra sillabazioni filiformi di tastiere, oasi incantate in cui il flauto tratteggia nostalgiche panoramiche interiori, declamazioni sciamaniche e delicati fraseggi chitarristici. Nel complesso, sembra di ascoltare un omaggio ai Gong più affabili.
Quanto ai momenti più concisi, sia “Shambhala” che (soprattutto!) “Not A King” presentano inclinazioni orientaleggianti, andando a completare un affresco sonoro che si fa ascoltare con piacere, pur proponendo nulla di nuovo.
26/01/2014