Luciano Chessa (classe 1971), da quando si è trasferito negli Usa, è riuscito a ritagliarsi un posto di riguardo nel campo della musica contemporanea (dovrebbero infatti uscire in questo stesso anno sue composizioni colte per la Stradivarius e la Sub Rosa), collaborando nel frattempo con la crema dell'avanguardia rock internazionale, da Mike Patton a Lee Ranaldo e da Blixa Bargeld a Teho Teardo. Mentre ora il buon Luciano insegna composizione al conservatorio di Berkeley e scrive trattati su Luigi Russolo e sulla musica futurista di inizio Novecento, la Skank Bloc provvede a pubblicare le sbilenche canzoni indie che Chessa ha composto e registrato nell'arco di venticinque anni.
Le prime prove furono pubblicate nel 2012 nell'album "Peyrano", mentre questo recentissimo "Entomologia" chiude idealmente il cerchio del suo personalissimo indie-rock giovanile. Non sappiamo se questa nuova raccolta è da intendersi come un "best of" dell'autore, certo è che, stavolta, la carne messa al fuoco è davvero tanta e ventidue brani (abbastanza disparati tra loro, visto che alcuni risalgono al 1988) sono decisamente troppi per poter dare un giudizio pienamente positivo. In poche parole, qui coesistono cose degne di nota insieme ad altre francamente mediocri e superflue.
Si parte subito con i brani più "radiofonici" come l'indie-rock alla Pixies di "Orlon" e "Peppa è Pazza" e in quelli più tipicamente new wave all'italiana di "Flash" e "Pianetics". Più originali risultano essere le trame acustiche con qualche accenno di musica sperimentale di "Sul Viale delle Olimpiadi" e la danza scatenata, con tanto di tromba morriconiana di "O.G.". In "Dubbio" pare di ascoltare i Devo alle prese con il rock lo-fi, mentre assai scolastica risulta essere la sua cover di "Opel" del suo mentore Syd Barrett (che peraltro omaggia nei bozzetti acustici di "O.A." e "Insetti nell'Ambra").
L'indie in bassa fedeltà e a tinte visionarie di gruppi come gli Elevator To Hell e Microphones sono alla base di brani piuttosti acidi e distorti come "La Foce" e "Coincidenze". Chessa azzarda addirittura un raga acustico alla John Fahey in "Siepi" e questo è il brano che maggiormente si distacca dagli stilemi di tutto il disco.
Parecchio sottotono (e anche abbastanza brutte) le involute canzoni che ricordano il Federico Fiumani solista come "Visi" e "Il Cubo" e da dimenticare sono i brani pessimamente registrati dal vivo posti in chiusura del disco ("Carpe", "Renoir", "Stelleradio"), roba da far sembrare i dischi di Marco Bucci (Pazma, Progetto M.B.) come prodotti da Alan Parsons!
Altra nota un poco dolente riguarda i testi di aclune canzoni, che forse vorrebbero solo essere ironici, ma che alla fine, risultano solo un po' volgarotti (per i testi sagaci e ironici, di Roberto "Freak" Antoni ce ne era solo uno e sarà difficile emularlo facilmente). Molto bella, invece, la veste grafica della copertina apribile, tutta realizzata in ottimo cartoncino, tanto da ricordare quelle splendide "letterpress" della Independent Project degli anni Ottanta. Rimane comunque un po' di amaro in bocca: peccato che il valido Luciano Chessa scialacqui il suo talento in questo modo.
17/02/2014