Che Mark Lanegan amasse vivere nell’ombra è sempre stato abbastanza evidente, anche se la sua è un'ombra sfuggente, quasi autonoma. Ci sembrava di averne visto i contorni nella sua avventura coi Screaming Trees, ma dalle rovine della sua band sbucarono inattese passioni per il lato oscuro del songwriting.
Mark in verità non è stato mai un vero leader, e questo suo atipico ruolo di outsider ha ossessionato le sue incursioni nella storia del rock: dai Queen Of The Stone Age ai Soulsavers il percorso appare accidentato, nonostante ciò, Lanegan non ha mai rinunciato a quell’insieme di fede, morte e sarcasmo che ha raccontato un’altra America, meno gloriosa di quella di Springsteen e non tormentata come quella di Kurt Cobain.
“Has God Seen My Shadow?, An Anthology 1989-2011” scruta nel suo percorso artistico concentrandosi sulla sua carriera solista, mettendo in evidenza non solo le ombre ma anche le luci della sua carriera. Ballate notturne e misteriose leggermente increspate di blues e addolcite da folk e country, una voce che anche quando sembra distratta e indolente è ricca di passione e sensualità, una musica intrisa di alcol e fumo che inebria senza stordire, questo è quello che attende chi ancora non conosce Mark Lanegan.
La doppia antologia della Lights In The Attic è impreziosita da un raffinato packaging e da un libro di 32 pagine, ma soprattutto da un secondo disco ricco di rarità e inedite collaborazioni dell’artista, che non appare esaustiva ma raccorda il mood che viene fuori dall’escursione antologica del primo cd.
Il romanticismo della inedita “To Valencia Courthouse” e l’imprevisto fulgore ironico della sua versione del classico di Jackson C. Frank “Blues Run The Game” sono più che sufficienti per catturare l’attenzione dei suoi fan ma anche di chi ha scoperto da poco il suo oscuro mondo poetico.
Non mancano i suoi mantra folk-blues dal forte impatto estatico (“Leaving Now River Blues”) e piccoli gioiellini per voce e chitarra (“Grey Goes Black”). Nella lunga escursione dei venti brani del primo cd non mancano delle lacune, ma questo avviene solo perché la musica di Lanegan anche nei suoi tratti più incerti possiede una rara attitudine artistica: la notturna “Low” e l’asciutta ballad “Wild Flowers” sono solo due dei versanti sui quali si agitano le visioni sonore del musicista. Quello che vi attende è più di quanto possiate immaginare.
10/03/2014