Cosa poteva, dunque, fare Mattin se non registrare un disco e provare a (non) rispondere?
“Songbook 5” è l’ennesimo trattato di destabilizzazione percettivo-sonora del Nostro: cinque brani da cinque minuti suonati da cinque musicisti (in sella ci sono anche Joel Stern, Alex Cuffe, Andrew McLellan e Dean Roberts). Ma c’è di più: il titolo di ogni brano è costituito da cinque parole, in risposta a cinque concetti e il disco (che dura venticinque minuti) è pubblicato ovviamente (!) in 555 copie. Capito, no? Dunque, si parte con “What Isn’t Music After Cage?” ed è sballo minimalista-rumorista-psichedelico sfasato, al ralenti, anzi no!, è tutta una presa in giro, tutto da rifare. Dunque, “Aware of Its Own Mediation” (alien-synth-wave?), le ossessioni Tuxedomoon trasformate in un malsano corto circuito di “Stuck In Our Own Trap”, i Pere Ubu di “The Art Of Walking” remixati da un bambino in “Alienation As An Enabling Condition” e, per finire, una ballata (?) eroinomane (?) durante un sentimental journey solo andata (“The Act Acting On Itself”).
Io a Mattin voglio bene a prescindere.
(19/04/2014)