Noah Gundersen

Ledges

2014 (Dine Alone)
gospel-folk, alt-country

Quello che è stato l’anno scorso “Country Sleep” di Night Beds potrebbe essere, quest’anno, “Ledges” di Noah Gundersen. Ma, laddove nel tono sofferto di Winston Yellen qualcuno avrebbe potuto cogliere un tono più esistenziale, l’espressività del cantautore dello stato di Washington dà qui sfogo a tutto il suo carattere più umorale, flirtando senza profondità col tema religioso e gettandosi soprattutto in un’epopea del romanticismo lacrimevole che assume a tratti contorni davvero stucchevoli (“Liberator”), non fosse per le interpretazioni così convinte di Noah. Spesso pare che le canzoni raccontino il finale “al bacio” di una serie per adolescenti.

C’è veramente poco spazio per le variazioni, in “Ledges”, che conserva una sua integrità grazie all’essenzialità degli arrangiamenti e al modo tutto sommato coinvolgente di come è reso il rapporto viscerale tra voce e chitarra dell’artista. Gli espedienti emotivi (il duetto maschile-femminile in “Dying Now”, i numerosi momenti “a cappella” o corali, i crescendo tra falsetto e archi) sono molto convenzionali, e danno l’impressione di un lavoro tanto viscerale quanto limitato.
L’album promette anche bene, con l’accorato gospel di “Poor Man’s Son”, un’atmosfera che si perde un po’, tra ammiccamenti di alt-country da classifica (“Boathouse”, la pur orecchiabile “Ledges”) e tanti brani in cui la vocalità sofferta di Noah fa da padrona, lasciando in disparte la scrittura.

Non stupisce comunque l’interessamento delle major, Gundersen ha l’intensità dell’esordiente e i temi smussati di un cantautore attempato. La deriva esibizionista, in senso vocale, rispetto alla scrittura delle canzoni ci mette il suo – resta comunque un bel lavoro di interpretazione.

23/02/2014

Tracklist

  1. Poor Man’s Son
  2. Boat House
  3. Isaiah
  4. Separator
  5. Ledges
  6. Poison Vine
  7. First Defeat
  8. Cigarettes
  9. Liberator
  10. Dying Now
  11. Time Moves Quickly

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