Alvaret Ensemble, Kira Kira, E. O. Ólafsson, I. G. Erlendsson, B. Magnason

Skeylja

2014 (Denovali)
world-impro
8.5

Partiamo subito col dire che “Skeylja” è uno di quei dischi di fronte al quale spendere e organizzare parole legate a uno schema, come quello della recensione, diviene impresa che rasenta l'impossibile. Il sasso lo lanciamo immediatamente, così da avere poi tutto il tempo per ritirare la mano. Non si tratta tanto di una questione di qualità, o di convivenza fra mondi sonori, o di complessità o di qualsiasi altro argomento si usi generalmente in casi come questo, quelli in sostanza in cui chi deve dire qualcosa si trova nella brutta situazione di avere in testa esclusivamente l'esortazione all'ascolto. Si tratta proprio del fatto che è surreale pensare di poter racchiudere in un paio di migliaia di battute il significato di un'operazione simile, e cosa intendiamo con simile lo si può vagamente intendere leggendo l'elenco degli artisti in alto.

Il fatto è che “Skeylja” è più un libro che un disco. Anzi no, è più un film che un libro. Oppure uno spettacolo teatrale. No, forse più che altro un rito. Ma nemmeno, perché di rituale non c'è nulla. Un'improvvisazione? Può darsi, se il canto all'unisono di dieci menti intente a rappresentare la purezza per tramite del selvaggio, espresso in forme d'arte disparate e guidato dalla sola spontaneità può ridursi a tale termine. E basta l'analisi dell'elenco per capire perché anche parlare di improvvisazione collettiva sta decisamente stretto ad un amalgama tale di stili e universi sonori. L'Alvaret Ensemble, ovvero Greg Haines, Jan e Romke Kleefstra e Sytze Pruiksma, ovvero ancora tre degli esponenti principali della scena ambientale (modern classical ma anche elettroacustica) olandese e l'enfant prodige di quella britannica. Poi Kira Kira, guru in terra islandese e co-fondatrice della Kitchen Motors; Eiríkur Orri Ólafsson - l'Arve Henriksen d'Islanda - e l'inseparabile amico Ingi Garðar Erlendsson; infine il contrabbassista Borgar Magnason.

Ma non è finita qui: perché esaurito l'aspetto sonoro, il progetto si articola a livello visivo grazie alla compartecipazione del collettivo 33 1/3, un gruppo di fotografi e videomaker che ha curato le scenografie delle performance da cui il tutto ha preso forma, e presenta pure una componente letteraria per tramite di testi tratti da reperti antichi in lingue pre-germaniche. Già, perché l'altro elemento fondamentale è che quest'autentica orchestra nasce da incontri avvenuti direttamente sul palco, tanto da essersi trasferita in studio solo in un secondo momento. “Skelja” è per l'appunto un live in studio, un coro dai mille volti che può essere ascoltato, sfogliato, osservato (contemplato) e guardato (vissuto). A livello sonoro potremmo “liquidarlo” parlando di post-Ecm, intendendo – non giriamoci attorno – una nuova dimensione di quel world-jazz che l'etichetta tedesca ha coniato quasi esclusivamente dal suo vivaio.

Il punto è che “Skeylja” non è world, non è jazz, non è free improvisation intesa con il background che la definizione si porta dietro. È semmai un ibrido tutto nuovo che da questi mondi pesca a livello di estetica, ma forgiando un suono più che mai primordiale, nato dalla fusione delle anime più profonde e spontanee degli artisti che vi partecipano. È altresì un embrione, un germoglio che sta ad affermare ulteriormente quanto la contaminazione sia l'unica strada per superare oggi come oggi quelle barriere stilistiche che paiono irremovibili. E il fatto che a patrocinare l'intera operazione vi sia guarda caso quella che è forse l'Ecm del nuovo millennio e a parer di chi scrive senza dubbio la miglior label al momento sulla scena è tutto fuorché un caso o una mera coincidenza di incroci (la Alvaret Ensemble debuttò proprio per Denovali, Greg Haines vi si è da poco accasato).

“Hoarn” è un'apertura in grado di far impallidire, una possibile sorta di ribellione delle viscere della Terra, un pugno nello stomaco guidato da percussioni che i più distratti assoceranno all'industrial ma che ne sono il ripudio totale: è la Natura a sorprendere nel suo lato più selvaggio, a risultare spaventosa solo in quanto mai conosciuta in una dimensione di tale purezza. Quella stessa che “Sjouw” analizza scavando gallerie di terrore e mostrando come il lato ignoto del reale possa generare paura molto più di qualsiasi creazione concreta della fantasia. La prima metà del disco si sofferma interamente a descrivere un mondo solo apparentemente devastato da un'apocalisse autoindotta, ma in realtà semplicemente inquadrato nella desolazione di “Aaster” quanto nel vuoto (non-cosmico) di “Duunt” nei suoi meandri più puri.

La seconda metà del lavoro si concentra invece sulla costruzione di una serie di climax più distesi, ma pregni in realtà del medesimo spirito di libertà totale e solo spostati in quanto a prospettiva: l'epica del capolavoro “Kleifarwatn” abbandona le gelide grotte per imbarcarsi in un oceano sconfinato su cui “Selvatn” fa calare una notte stellata, prima che “Hafravatn” muova in direzione di una foresta priva di spiriti e streghe. La chiusura di “Borgarvatn” è quasi un risveglio sotto la guida del pianoforte, la nebbia che si dissipa e concede allo sguardo di scorgere qualche accenno di umanità, di quella vita che normalmente tendiamo a considerare l'unica possibile. “Skeylja” è l'unione di più esseri umani che, ciascuno dalla prospettiva della propria terra (ma consapevoli che non si tratti che di una fetta della medesima Terra), pongono la base infinitesimale per un abbozzo di disegno in più forme e linguaggi della Terra stessa nella sua forma più pura.

Un'operazione talmente folgorante a livello di suggestione da far passare decisamente in secondo piano la bandierina collocata oltre i confini precedentemente noti dell'improvvisazione musicale, ma anche e soprattutto l'incredibile e definitiva celebrazione della contaminazione a livello sia artistico che culturale.

30/04/2014

Tracklist

  1. Hoarn
  2. Aaster
  3. Sjouw
  4. Duunt
  5. Kleifarvatn
  6. Selvatn
  7. Hafravatn
  8. Borgarvatn


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