Alla prova di un ascolto lungo ma non per questo impegnativo, svettano sulle altre in principio l'apertura da brividi di una “(Dont' Fear) The Reaper” ambientata in una ipotetica corte rinascimentale, una “The Him” che si trasforma da litania sintetica a liturgia arcana, l'invocazione quasi neoclassica a cui è splendidamente adattata “The Cursing Song” e la conversione del rito funereo di “Ostia (The Death Of Pasolini)” in saltarello à-la-ultimi Dead Can Dance.
I conti tornano senza avanzi, le coordinate da sempre tipiche del marchio Unto Ashes si riconciliano con le loro origini prime. Sul versante gotico, i compari Lycia e gli amici Qntal sono omaggiati rispettivamente per ben due volte: i primi in una “The Kite” di cui viene mantenuto intatto il Dna tantrico e nella danza spiritata di “Tainted”, i secondi in una versione commensale e spolpata di “Palestinalied” e con una più vivace interpretazione di “Frühling” - già su “Grave Blessings”.
Si va invece decisamente più lontani dai canoni con gli inchini al maestro Neil Young e a Tori Amos: “The Needle And The Damage” è intrisa d'oscurità al punto tale da risultare l'episodio più sinistro dell'intera raccolta, mentre “Beauty Queen” viene ridotta a un minuto abbondante di commossa preghiera. Stupiscono meno, forse perché già note, la “The Drowning Man” dei Cure alla maniera dei This Mortal Coil (anch'essa già su “Grave Blessings”), l'irriconoscibile “Fly On The Windscreen” depechemodiana in forma di folk ballad (risalente invece a “The Blood Of My Lady”) e i due estratti dal già citato, ultimo capolavoro di due anni fa, ovvero “Kathy's Song” dei Apoptygma Berzerk e la “Runnin' With The Devil” capovolta da sfuriata rabbiosa a carezza soffice. Trattamento analogo è riservato per altro ai due pezzi posti in chiusura, ovvero “One World One Sky” dei Covenant - decisamente la scelta più stupefacente - e “Heartland” dei Sisters Of Mercy.
Idealmente già proiettati nel 2015 - quando dovrebbe uscire il nuovo album vero e proprio - come sottinteso dal sottotitolo in cifre romane del disco, gli Unto Ashes si fermano per la prima volta a contemplare loro stessi, le loro origini, il loro suono e le loro evoluzioni. Non un'operazione necessaria, non un disco fondamentale, ma una meritata autocelebrazione per uno degli act che ha saputo incidere con le proprie sole forze un solco profondo nella storia del dark in senso ampio.
(19/11/2014)