Cinque anni probabilmente sono tanti per dare un seguito agli svolazzi di un esordio, per riprendere un filo dal mazzo e sperare di ritrovarlo omogeneo in colore e spessore. Dan Willson, mente e nome dietro al progetto Withered Hand, questo lo sa bene. Cinque anni sono però necessari per dare fondo alla memoria di se stessi, per passare indenne in mezzo agli sconvolgimenti che l'invecchiare infallibilmente produce e per tirare fuori da quel mazzo un disco intriso di tanta ironica e agrodolce contestazione pop, di inezie sentimentali e nostalgiche in purissimo "indie style", ma con il respiro di una genuina, tremebonda umanità di fondo.
"New Gods", il nuovo disco di Dan Willson prodotto da Tony Doogan (produttore scozzese al lavoro con Belle & Sebastian e Delgados), viene dal 2014 ma pullula di indie-rock americano primi anni 2000. Un disco spezzato, ricomposto, pauroso, eccitato, nostalgico, sovra e sotto esposto. Ci sono melodie, ci sono i pezzi tirati e magniloquenti che vorrebbero scuotersi un po' di polvere di dosso, ci sono pezzi che a un certo punto, nel gioco di pieni e vuoti svuotano a tal punto da commuovere e laminare l'anima, altri che ti ricordano quanto il pop rimanga pop perché ascoltandolo è come se nel corpo avvenissero dei continui e variamente dislocati scoppiettii di felicità armonica.
Succede un intruglio pazzesco - ribollente in uno dei calderoni più ricchi del sottobosco scozzese di questi ultimi anni, il tutto accompagnato dagli strimpelli in salsa twang diluiti dalla vacillante e cruda voce di Dan (a volte paragonata a Jeff Mangum o James Mercer) accompagnata per l'occasione da un cast impressionante di musicisti ospiti. Da Pam Berry (Black Tambourine) a Eugene Kelly dei Vaselines, da King Creosote a membri di Belle & Sebastian e Frightened Rabbit. "New Gods" è un mirabile pastiche surrealista immerso nella sua splendida sintesi di ispirazione vintage e feeling moderno, di orchestrazioni e chitarre disamplificate, di liasons psichedeliche e strascichi byrdsiani.
Ma non occorre aspettare troppo per accorgersene: basta il primo pezzo: "Horseshoe" a convincerci che Withered Hand sa scrivere grandissime canzoni e sa arrangiarle nella più convincente delle maniere e con il minimo sforzo. Indie-rock nella sua più pura essenza. E si senta com'è possibile scivolare a meraviglia lungo le successive tracce, dai saltelli compulsivi di "King of Hollywood" che ricordano tanto i Bishop Allen finanche alla meraviglia di "Black Tambourine" che non avrebbe certo sfigurato in un disco degli Shins. C'è spazio anche per l'esplosiva "Heart Heart" che fa un po' marcetta Modest Mouse, e una americanissima "Life of Doubt" che distribuisce con successo tutte le risorse chiave del songwriting.
"New Gods" è un album che si dipana delicatamente nella sua durata, che non ha paura di tramutare quell'idea incorporea di pop attraverso spaccati di vita autoriale, in un disco del quale presto l'ascolto diventerà così naturale da accorgersi di averlo fatto solo quando la musica finisce. Ed è solo qua che capiremo di avere di fronte un grande disco pop.
03/04/2014