Qualcuno potrebbe tirare fuori l'aggettivo derivativo nella sua accezione più negativa, ma Adele Nigro e i suoi due giovani compagni d'avventura, Erica Lonardi e Marco Giudici, non possono ricordarsi quel decennio tanto discusso: nessuna corsia preferenziale se vivi nel nord Italia, a novemila chilometri di distanza dall'Idaho, e sei nato nel 1994, lo stesso anno d'uscita del tuo album preferito, “There's Nothing Wrong With Love”.
È chiaro fin dal primo ascolto che la forza motrice degli Any Other è la voce sicura della ex-Lovecats; anche quando l'attacco strumentale vagamente emo di “Blue Moon” suggerisce un cantato più dolente, spunta fuori una voce ferma e risoluta da cantautrice navigata che si staglia con orgoglio su un impianto sonoro essenziale, ma convincente.
Non c'è nulla di languido nel modo di cantare di Adele, facilmente accostabile allo stile slacker di Courtney Barnett (“Something”) o a quello più compiaciuto degli Speedy Ortiz (“Gladly Farewell”) e ben distante dall'approccio svenevole delle ultime star dell'indie-rock cantautoriale al femminile. Non manca nemmeno quella giusta dose di dolcezza sostenuta dal piano e dalle poche note di un basso avvolgente che porta “His Era” al classico finale saturo di elettriche.
Tante chitarre - finalmente - e riferimenti chiarissimi, quelli dei nineties statunitensi più sbilenchi, popolati da paladini marginali di una generazione di indie-kid che, se ancora esiste, potrebbe sussultare all'ascolto di questo “Silently. Quietly. Going Away”. Built To Spill su tutti, ma anche il piglio alla Modest Mouse nell'incedere saltellante di “365 Days” e nello strambo racconto “Roger Roger Commander”, costellato da navi spaziali, formiche verdi e gatti sulle spalle.
Quel liberatorio “I'll run away from here” che la ventunenne canta in un inglese impeccabile è rappresentativo di un esordio che rivela desideri di fuga, crescita e cambiamento, piccole storie personali raccontate con una genuinità disarmante. “I need to get back to live again, feeling the pressure gone/ To feel my back scratched by another one”: se per definizione l'emo non fosse un genere costretto da accordi minori e armonie malinconiche, le insicurezze e la solitudine evocate da “5.47 PM” potrebbero facilmente trionfare all'interno di una compilation del catalogo Deep Elm.
La filastrocca finale di “Teenage” suona come una dichiarazione d'amore per il lo-fi dei Pavement o più precisamente per il Malkmus ironico/scazzato di “We Dance”, mentre la conclusiva “To The Kino Again” riprende la velocità e lo stile declamatorio da lista della spesa dei Van Pelt di vent'anni fa, salvo poi dimezzarsi ritmicamente in un'apertura finale sostenuta dal cullante ripetersi di quelle poche, dimesse parole che danno il titolo all'album: “Silently. Quietly. Going Away”.
Un lavoro che scorre veloce e dimostra che anche in assenza di metronomo e con un po' di sporcizia è possibile mantenere un certo impatto, purché ci siano le giuste melodie, una buona scrittura e la sensibilità necessaria per colpire l'ascoltatore al cuore. Agli Any Other queste qualità non mancano e anzi si ha l'impressione che la voglia di raccontare e raccontarsi così spontanea della mente del progetto nasconda, più che sensibilità, un vero talento. Basti ascoltare la “Sonnet #4”, un crescendo acustico che sfocia in una scossa sentimentale da urla e sussurri, picco emotivo di un lavoro difficile da ritenere artificioso.
Questa prima produzione Bello Records è uno degli esordi italiani più coraggiosi e credibili di questo 2015 e Adele, forte di un anno di concerti acustici in tutta la penisola e di un repertorio che regge bene anche voce/chitarra, non ha nulla da invidiare a un fenomeno in ascesa come Waxahatchee.
11/09/2015