Venticinquenne, scozzese laureato al conservatorio, Christopher Duncan è cresciuto a pane e musica. Figlio di due musicisti di musica classica, ha intrapreso lezioni di piano e viola per poi passare alla chitarra, al basso e alla batteria, prima di scoprire il piacere della composizione.
Il giovane musicista affronta il suo esordio discografico mettendo insieme folk pastorale, psichedelia vellutata e dream-pop, senza cedere alla facile lusinghe della melodia, piuttosto architettando una raffinata struttura sonora dove far scorrere delicate ed eteree composizioni, che tratteggiano un ponte tra la musica popolare e quella colta.
Come un artigiano del batik, C Duncan ha registrato i vari strumenti separatamente per poi impregnare il tessuto ritmico e sinuoso delle sue canzoni con colori e sfumature che hanno il fascino degli arazzi e dei mosaici.
La vera novità di “Architect” è nella metodologia della composizione e nella modernità dei ritmi, che smorzano gli eventuali confronti con il revival psichedelico di Jacco Gardner o con l’enfasi estetica dei The Ghost Of A Saber Tooth Tiger, i groove assumono un valore fondamentale per le escursioni armoniche e liriche dei brani, al punto che l’iniziale “Say” mette insieme surf e trip-hop in un carezzevole insieme, che suona come il brano pop più rinfrescante e originale che possiate portare con voi in ferie.
Anticipato da ben quattro singoli (tutti presenti nell’album), “Architect” è come un cappello magico da dove sbuca a volte un folk pastorale intriso di ritmi ipnotici (la title track) che fanno volare alto il tenore lirico del brano, e altrove improvvisi bagliori di una psichedelia antica e ruvida (“By”), che si muove irrequieta e sensuale.
Tra il fanciullesco dream-pop della piacevole filastrocca di “For” e il fragore silenzioso della vellutata e ariosa “Novices”, trovano voce le moderne e insolite misture di ritmo con cori classicheggianti e psichedelia in “Silence And Air” e il rigore quasi kraut di “Garden”.
Ma dietro le quinte si agita una sopraffina arte della composizione che dà forma a un potenziale classico come “Here To There”, che fa scivolare anni e anni di surf e beat tra le maglie del dream-pop emulando gli Zombies, mentre la nostalgia prende possesso di “He Believes In Miracles”, trascinando le melodie nei paraggi degli High Llamas e dei Pearlfishers con la stessa arguzia e classe.
Ricco di belle canzoni e abili refrain, “Architect” è un album etereo e leggiadro, un giardino sonoro dove gustare colori e sfumature che sono frutto di un accurato lavoro di scrittura e arrangiamento che mai va a incidere sulla fruibilità delle canzoni, fino al delizioso finale di “I’ll Be Gone By Winter” che scioglie ogni dubbio residuo sulle capacità di C Duncan come songwriter e musicista. Se durante l’ascolto all’improvviso vi sentite adagiati su una nuvola, non preoccupatevi: continuate a sognare.
02/08/2015