Deposte le armi di songwriter, il canadese Christopher Smith chiama gli amici Will Kendrick (Failing), Rob Törnroos, Shaunn Thomas Watt e Peter Carruthers (questi ultimi entrambi dei Siskiyou) per mettere in piedi l'esordio del suo nuovo progetto Dralms.
Il cambio di prospettiva sonora è evidente, il musicista mette un piede nell'elettronica e nell'alternative pop con una serie di raffinate melodie e una sequenza di intuizioni che fanno di "Shook" un progetto pop interessante, sfaccettato e accattivante.
Sono dieci brani attraversati da un minimalismo lirico cupo e tenebroso, che si dilata spesso con melodie ariose, nonché delle ingegnose trovate strumentali.
L'introduttiva "Usage" delinea il metodo strutturale dei brani: una linea di basso, un crescendo di tastiere, una voce limpida e suoni di chitarra in sordina. Il tutto appena turbato da insolite e inattese distorsioni vocali o strumentali (qui un gridolino che sembra un errore o un loop sfuggito di mano).
"Shook" è un trompe l'oeil in cui l'immagine sonora, sostanzialmente monocorde, assume toni e profondità inattese grazie a intuizioni liriche e creative: a volte sono glitch e noise inseriti in un contesto pop-funk ("Division Of Labour"), o un sax e uno schiocco di labbra nel finale di un brano formalmente innocuo ("Objects Of Affection"), ma sono elementi che aggiungono dettagli a un'opera già interessante di per sé.
Sotto il tessuto sintetico si agita spesso un corpo vibrante e ricco di sensualità, quella che trasuda senza più remore e limiti nella sintesi pop, funk ed elettronica di "Gangs Of Pricks", ma non va tralasciato il vellutato soul di "Wholly Present", dove Christopher assorbe trame trip-hop e jazz in un contesto lirico quasi immobile che diventa un groove.
"Shook" è un album costantemente dominato da una ricerca estetica molto intensa, che può indurre paragoni ingombranti come gli Steely Dan o i China Crisis, ma è più corretto assimilarlo ad alcune pagine di Alan Parsons, soprattutto quando la scrittura è più vicina al songwriting più classico, come nel remake della sua "Pillars and Pyre" (già comparsa nell'album del 2012 "Earning Keep") o nella sfavillante "Domino House", che tra minimalismo lirico, echi dei Pink Floyd e soavità vocali alla Colin Blunstone gronda di pathos e fluidi psichedelici.
Atmosfera e rigore melodico procedono di pari passo. A volte qualche incertezza e un richiamo di troppo smorzano la forza innovativa dell'album, ma il musicista non sembra interessato a stupire l'ascoltatore. "Shook" è un album che vuole essere degustato con lentezza e calma, come quando nella title track non viene subito svelata la complessità ritmica e melodica, in attesa che sfumature neo-romantic ne sottolineino il fascino leggermente mitteleuropeo; ed è la stessa amabile dicotomia che nella malinconica e sfuggente "Crushed Pleats" diventa il sigillo stilistico di un album coraggioso e intelligentemente confortevole.
05/02/2016