Dopo il fugace successo del suo brano “Come Home”, utilizzato per uno spot di una famosa carta di credito, l'interesse della Verve e di Bernard Butler lo hanno coinvolto in un improbabile scenario rock’n’roll, con i fantasmi di Phil Spector e Roy Orbison dietro le quinte, e un album (“Love Will Find You”) caduto istantaneamente nel dimenticatoio.
Trasferitosi definitivamente a New York, Findlay Brown riprende il discorso musicale primigenio, rimettendo al centro dell’attenzione la scrittura delle canzoni, che vengono svincolate dalla dimensione mainstream, e che al contempo mettono in evidenza l’interesse dell’autore per il minimalismo di Terry Riley e Philip Glass.
Per un musicista affascinato più da Jackson C Frank (che ispirò il primo album) e Tim Hardin, che non dagli eroi incorrutibili del songwriting come Bob Dylan, Nick Drake o Leonard Cohen, la creazione non è un semplice esercizio stilistico, e “Slow Light” non nasce da obblighi contrattuali.
Ed è cosi che avviene quella leggera rivoluzione d’intenti, che svincola la musica dal suo essere puro prodotto, e l'approssima all’arte. L’introduttiva “Run Home” solo per un attimo indugia nella prevedibilità del folk-pop, disturbata in coda da fremiti elettronici, che anticipano i toni plumbei e sinistri della superba “Make A Getaway”: figlia illegittima del synth-pop degli Ultravox o dei Beach House più malinconici.
L’ispirazione non abbandona mai l’autore, che distrae il pop vivace di “Made Of Stone” con esoterismi ritmici quasi afro, iniettando twist e baroque-pop nella solare “Ride Into The Sun”, e infine lasciando scivolare la grazia del suo fingerpicking nelle maglie di “Alone Again”, le stesse che vibrano malinconiche e solitarie nell’affresco acustico di “Mountain Falls For The Sea”, che è un ulteriore omaggio al suo maestro Jackson C Frank.
Anche i due interludi strumentali, la neosinfonica “Emeralds” e la quasi avantgarde “Beyond The Void (part II)”, sono parte integrante della struttura sonora, non vacue cornici, di un album fatto di chiaroscuri e raffinate sfumature di grigio.
E’ quasi un delitto l’esistenza di “Slow Light” unicamente in formato digitale (anche se è prevista un’edizione in vinile), un album che ha dalla sua una narrazione sonora e poetica originale e ricca di stile, anche quando si nutre di psichedelia e pop alla maniera dei Beatles in “All Is Love” (racconto di un’esperienza con allucinogeni e riti sciamanici vissuti dall’autore in Colombia), o quando gioca con lo spaghetti-western e Ennio Morricone, nell’ibrido acustico-finto-orchestrale di “Born Of The Stars”.
Il terzo album del musicista inglese riporta in essere tutte le belle suggestioni di otto anni fa, confermandolo autore di talento, e noi non possiamo che ringraziare il suo nonno chef, che vendendo i suoi preziosi autografi di Beatles, Queen e altri artisti, comprò la prima chitarra al giovane Findlay. Mai investimento fu più proficuo.
(07/11/2015)