Da titolo di un album quale era nel primo parto congiunto tra Av-k (allora Kletus Kaseday) e A.Rota.B, Internos è diventato un progetto tout court. Stiamo parlando della creatura condivisa dal talentuoso producer campano Anacleto Vitolo (imperdibile il suo “Fracture” di quest'anno) e dall'Mc A.Rota.B, il cui vero nome si cela dietro una sigla teutonica. Ovvero dell'esperienza (post)-hip-hop più stupefacente e indecifrabile del nostro tempo.
Laddove gli Uochi Toki hanno cercato di evadere dagli schemi convenzionali del genere proponendo un provocatorio e sconcertante incontro col glitch, quellodi Internos è un ripudio espressionista e colmo di furia degli stilemi e dei luoghi comuni che hanno reso l'Italia e l'hip-hop due mondi impenetrabili senza scadere nel becero e nell'insopportabile.
Se nel precedente lavoro permaneva un concept distopico attorno a cui l'impianto narrativo era costruito, in “Defrag/Rap” tutto ciò che è razionale viene invece letteralmente fatto a brandelli. Gli otto brani corrispondono ad altrettante invettive in grado di accavallare sensazioni pure ed istintive: rabbia, frustrazione, dolore, evasione. Non c'è una linea guida né ci sono binari, persino il layout del disco non ne riporta, lasciando a un bianco (realmente) nullificante l'introduzione visiva al lavoro.
Il percorso è uno attraverso testi che giocano con la fonetica e le parole alla maniera dei futuristi, flussi di coscienza trasmutati “automaticamente” in poesia seguendo la lezione di Breton, metafore allucinate nelle quali politica, astronomia, informatica, retorica e chimica divengono un tutt'uno sovra-razionale, stralci di pensieri strappati al loro contesto e ricombinati in seno agli esperimenti di Burroughs. Nessun nesso logico, nessun disegno, nessun progetto.
I singoli brani risultano così ardui se non impossibili da analizzare, il contrappunto sonoro li segue a ruota ricamando tutt'attorno uno scenario di autentico rumore: hardcore, techno, ambient, concrétismi, field recordings convivono in una miscela ruvida e impervia. Musica e parole sembrano nascere dal medesimo mondo malato, figlie di un espressionismo tirato al limite del comprensibile e del fruibile, ma proprio per questo così potenzialmente vicino a quella Verità che sfugge alla ragione.
18/09/2015