Protagonista di lungo corso del catalogo 12k, Kenneth Kirschner da Brooklyn ne incarna probabilmente il lato più vicino alla tradizione colta, andando a occupare quella zona di confine artistico tra la ricerca elettronica contemporanea e la tradizione accademica. Il tutto mantenendosi storicamente vicino a un'idea di ambient music piuttosto formale, per certi versi distante dal paesaggismo organico dell'ultimo Taylor Deupree, dall'isolazionismo bucolico di Seaworthy o dall'equilibrio parnassiano degli Illuha. Laddove i protagonisti del catalogo 12k hanno negli anni spostato l'asticella della ricerca atmosferica dalla definizione di “musica d'ambiente”, percorrendo varie altre possibilità nel rapporto fra i due elementi, Kirschner è fra coloro che hanno evoluto dall'interno l'ambient inteso in senso classico, proseguendo a costruire musica pensata per microambienti sempre più astratti, calcolata su misura per calzare ad essi in maniera particolare.
Il tutto fino ad arrivare ai suoi lavori più recenti, nei quali scansioni temporali definite (date) sono divenute il soggetto attorno a cui ricamare. “Compressions & Rarefactions” si inserisce in scia a questa parabola, aggiungendo però un elemento di sostanziale rottura a una formula in continua mutazione: il contrasto, reiterato da più prospettive. A un primo livello nella concezione para-bergsoniana del tempo (in mancanza però di un primato di una tipologia sull'altra): quantitativo, disomogeneo e istantaneo (concreto) nelle osservazioni di “Compressions” (mezz'ora scarsa ciascuna), qualitativo, continuo e omogeneo (totale) nelle contemplazioni di “Rarefactions” (due ore abbondanti per la prima e l'ultima, un'ora e mezza per quella centrale). Il primo stampato su disco, oggetto materiale e finito, il secondo riservato al download digitale, privato dunque (anche per necessità) di una dimensione fisica.
A un secondo e più profondo livello, spicca l'opposizione fra le scansioni temporali interne ai due lavori, che rappresentano anche le situazioni per le quali la musica è stata pensata. In una sorta di racconto ciclico, Kirschner condensa gli studi sui due equinozi (non a caso, periodi più brevi ed eterogenei) nel primo disco, analizzando i solstizi (più lunghi e omogenei) nel secondo, aprendo in entrambi la sua tavolozza sonora a elementi inediti.
L'autunno di “September 13, 2012” si sposa, più che a foglie secche e colori intensi, a un grigiore piovoso fatto di stridori e droni taglienti, che va a offuscare quando non a coprire uno sfondo notturno e sinistro fra gocce di piano à-la-Sakamoto e rintocchi di vibrafono. Dall'altra parte la primavera di “April 16, 2013” è uno strepitoso trionfo di campanelli e xilofono, un incontro tra il minimalismo di Palestine e suggestioni orientali assortite, che rappresenta uno dei vertici creativi dell'arte di Kirschner tutta.
Il concreto nel tempo da un lato, il reale del tempo dall'altro: “July 17, 2010” è colonna sonora della più fresca notte estiva possibile, nel cuore di un bosco rigoglioso, e gioca con i field recordings e i found sounds memore delle lezioni di Parmégiani. Per un contesto pienamente invernale è pensata invece “January 10, 2012”, il più meditativo e denso dei cinque passaggi, una digressione silenziosa e lussureggiante costruita sulla convivenza fra droni oscuri, tocchi di vibrafono, frequenze stridenti, sample di archi oscuri e una massiccia dose di silenzio.
I solenni ed epici 127 minuti di “October 13, 2012” costituiscono infine l'eccezione alla regola: in un ottobre decisamente più mite del settembre iniziale, va in scena l'evasione dal concept e dall'ambiente stesso, ma anche una chiusura ciclica del percorso. Il tutto in una sorta di sinfonia a più volti, dalla partenza raggelante allo strazio centrale, fino allo strepitoso finale costruito sulle stratificazioni della viola di Tawnya Popoff.
In quella che è probabilmente la sua opera più completa e complessa, Kirschner porta a compimento la sua idea più recente di ambient music, dove il rapporto fra i due elementi si gioca nelle componenti spaziali e temporali del primo. Il tutto rielaborando ulteriormente i confini estetici e ontologici fra ricerca contemporanea e (post-)classicismo, in un gioiello in cui le due cose sembrano davvero raggiungere una matrice comune.
15/09/2015