La firma su questo fertile anno musicale Lorenzo Montanà l'ha già messa, affiancandola a quella di Alio Die per quell'autentica meraviglia intitolata “Holographic Codex” e licenziata dall'instancabile Projekt a gennaio. Un crocevia attraverso il quale i riflettori sono arrivati finalmente anche su di lui, artigiano del suono impegnato da poco meno di un decennio a coltivare la sua poetica ambientale, ormai indissolubilmente legata a un'elettronica soffusa, morbida e discreta. Una forma espressiva squisitamente umana e organica, coniugata attraverso il ricorso sistematico alla melodia e al ritmo, esule per natura dai luoghi comuni della tradizione atmosferica.
Se l'efficacia di questa ricetta si era già manifestata a sufficienza nel già citato dialogo con la sostanza spirituale sonorizzata del maestro Alio Die, negli ultimi lavori solisti Montanà è riuscito a perfezionarla fino a renderla completamente autonoma e peculiare. In tal senso, “Vari Chromo” non è che il coronamento di un percorso, lo step ultimo di una strada intrapresa due anni fa con “Eilatix” e che aveva già raggiunto un primo vertice nello splendido “Leema Hactus” dell'anno scorso. Un picco che sembrava arduo anche solo eguagliare e che invece deve fare i conti con un successore che riesce quasi a sfidarlo ad armi pari.
Basta l'abbraccio introduttivo di “Siberia”, una sorta di trip-hop stellare per pianoforte e bagliori sintetiche, a rivelare l'atmosfera dell'intero lavoro, nonché il suo valore. L'ambient secondo Montanà è materia del cuore, dello spirito più che della ragione: lo sciame di arpeggiatori di “NeKto” tiene testa per sensibilità e delicatezza alla Suzanne Ciani analogica, la title track esplora quei terreni al confine tra ambient e fantasy dove Kevin Braheny si è fermato, le nebulose di “Phase Constant Oscillation” mostrano il cosmo per una volta attraverso un telescopio. La fantasia torna a trionfare, e qualsiasi forma di distacco tra ascoltatore e sostanza sonora è azzerato completamente.
Montanà gioca coi synth senza però negarsi a soundscape più variopinti: così nella litania post-romantica di “Green Room” entrano in gioco gli archi e la voce, protagonista assoluta in versione sintetica anche fra le aperture oniriche di “Anya”. Nei ripescaggi dal passato recente, invece, la miscela ambient si apre a risvolti ritmici a due passi dai reflui dell'Idm che fu: così se “Crystal Waves” si mantiene sulle coordinate del primissimo Jon Hopkins e “SpOOt” tiene a bada le sue mire più hypno, con “Hy-Brasil” e “Tek Kyah” si sconfina direttamente nei territori cari rispettivamente agli ultimi Plaid e al µ-Ziq pre-cosmpolita.
Una varietà che contribuisce in maniera decisiva a realizzare un soundscape dinamico, fresco, estivo ed estroverso. Qualità, tutte, che è assai raro riscontrare in un disco di ambient music: e proprio queste sembrano essere le virtù sonore nelle quali Montanà ha deciso di specializzarsi. Procedendo di questo passo, il capolavoro è dietro l'angolo.
03/06/2015