La parentesi americana del cantautore Marc Carroll non è stata molto felice e produttiva. L'album del musicista irlandese pubblicato nel 2013, "Stone Beads And Silver", metteva in discussione tutta la fiducia e la speranza riposta in lui. Dopo l'eccellente doppietta di "World On A Wire" (2005) e "Dust Of Rumour" (2009), si era smarrita in parte quell'audacia che in passato aveva dato vita a piccoli gioiellini di songwriting.
Dopo aver messo in ordine il proprio catalogo discografico con delle edizioni deluxe pubblicate dalla sua attuale etichetta (la One Little Indian), Carroll riscopre il fascino della sua terra natia con un album ispirato e più folk-oriented.
Se in passato l'ombra di Bob Dylan oscurava in parte il suo talento, con "Love Is All Or Love Is Not At All" il musicista mostra una più convinta autonomia stilistica, anche grazie a una scrittura che si radica maggiormente nel folk irlandese.
I Waterboys sembrano essere il punto di riferimento della nuova direzione stilistica di Carroll che, tra un poema di Penny Rimbaud dei Crass e dei testi politicamente più impegnati, getta uno sguardo al quel patrimonio musicale comune che lega la sua terra all'America, mettendo insieme un pugno di canzoni di struggente bellezza.
Sembra dunque che Carroll abbia trovato finalmente la giusta chiave di volta per mettere a fuoco gli elementi sonori finora dispersi nei precedenti album. Le note di piano dell'introduttiva "No Hallelujah Here" aprono scenari drammatici finora mai espressi con tanta lucidità e poesia: il brano racconta l'uccisione, avvenuta un anno fa durante i conflitti di Gaza, di quattro ragazzi che giocavano a pallone.
Pete Thomas (Attractions), Noel Langley (Bill Fay) e Jody Stephens (Big Star) mettono al servizio dell'irlandese tutta la loro maestria tecnica, senza trascurare un po' di autentica passione, quella che trasuda, ad esempio, nella superba ballata "Catalina In The Distance".
Tra pagine musicali più introspettive ("Oh Death, Don't Yet Call Me Home") e rigogliosi riff power-pop ("Lost And Lonely"), si aprono scenari celtic-soul ("A Child In Midstream") che la tromba di Noel Langley e la tastiera di Bo Koster (My Morning Jackets) tingono di jazz. Se "Brightest Of Blue" per un attimo mostra i muscoli con chitarre incendiarie e ritmi possenti e "Ball And Chain" trascina la poesia verso l'epica, altrove permane quella sensazione crepuscolare e malinconica ("Your Ghost"), che nella title track assurge a forma d'arte pura.
Quello che stupisce è il fascino desueto, quasi fuori dal tempo delle sue canzoni. Una peculiarità che è più facile rintracciare in beautiful loser del passato come Bill Fay o Roger Mc Guinn. Marc non si crogiola nelle banalità del lo-fi, né introduce superflue contaminazioni avantgarde, lasciando fluire il tutto con una sorprendente padronanza lirica, e candidandosi come il perfetto outsider del cantautorato folk-rock.
01/02/2016