Farò outing senza grosse remore: ho letto spesso recensioni di critici musicali che conoscevano bene o erano amici di coloro di cui scrivevano. È pratica nota da sempre. Succede, l'ambiente è una nicchia, si è quattro gatti e capita di scambiarsi chiacchiere, pareri, opinioni.
Capita che nascano amicizie, è una cosa normale. Scriverne bene, insomma, è un attimo, le critiche invece non fioccano mai. May Nam io lo conosco, lo conosco da molto tempo. E ben prima che si mettesse a smanettare con la musica. È nato in Veneto, ora a Berlino, nel mezzo: il mondo. Che sia un freak o giù di lì lo si intuisce subito. Sia che vi capiti di incontrarlo a Neukölln, sia che ascoltiate la sua musica.
"Anacol Jut" è il suo esordio ufficiale - tolto l'Ep "Albatrost" dell'anno scorso. E, sì, ha molti difetti. Però assieme ai difetti del debuttante, si porta con sé anche tutta la freschezza dell'esordiente. Otto brani e sentire di trovarsi di fronte a una giungla, entrarci, muoversi. Grovigli di mangrovie, fiori di loto, colori ovunque. La salsa psichedelica e calda che solo gli Animal Collective riescono a riprodurre, le vene pop di Panda Bear, gli spasticismi synth di Gang Gang Dance o la plastica ambient Black Dice. E, in generale, tutto il sottobosco di Brooklyn. Forse pure peccando di citazionismi e coretti, forse ricalcando troppo certi stilemi.
Però, nel mare magnum delle uscite di questo genere, si distingue. Perché abbandona il mondo post-The Field e della Kompakt (quello che Teen Daze e l'hypnagogic pop/chillwave avevano tentato di superare, fallendo), e arriva al pop più nudo che ci sia. Quello delle foreste stracolme di umidità e gocce che lentamente scorrono sulle foglie. Una sorta di musica primordiale e naturista. Così la coda elettro-folk della bellissima "We Shake Sperando" indirizza il cammino d'ascolto tra canne di bambù altissime e fittissime, i tucani dalle code coloratissime di "Arjen The Seal", la psichedelia di "Get Dudeskeit" sono variazioni su un tema che appare collaudatissimo e, seppure forse a tratti ripetitivo, assolutamente delizioso nello svolgersi.
Scorre via d'un fiato, in una ventata di freschezza e leggerezza abbastanza sorprendente. Sì, io lo conosco May Nam e ho deciso di scriverne. Perché mi pongo nei suoi confronti come "Anacol Jut" si pone verso l'ascoltatore: in maniera sincera. È il disco meno italiano che possiate ascoltare. Potrebbe venire dall'Amazzonia. Cittadino del mondo, si diceva? Appunto.
09/07/2015