Francesca Pizzo e Angelo Casarrubia proseguono con “Hexagon Garden” una politica di uscite discografiche ravvicinate – tre gli album pubblicati in poco più di due anni – benché relativamente brevi nel minutaggio (mezz'ora circa ciascuna). Un percorso di piccoli ma studiati passi attraverso il quale il duo bolognese ha potuto manipolare con sfumature differenti quel sound ormai pienamente riconoscibile che fa dei Melampus un progetto del tutto a sé stante rispetto alla scena rock italiana (e non solo).
In questo terzo lavoro in studio, Pizzo e Casarrubia tornano dunque a dare vita a quell'ibrido di slowcore, dark-wave destrutturata e alt-rock che già costituiva l'impalcatura degli album precedenti. Lo fanno, però, attraverso un nuovo cambio di prospettiva che va di pari passo con le pulsioni sperimentali del duo emiliano. Pulsioni che, nella fattispecie, rimettono in evidenza la componente elettronica, la intrecciano a field recordings e la collocano al servizio di brani perlopiù privati della tradizionale forma-canzone: basti prendere l'eterea - quasi spettrale - “Worthy” per capire quanto lontano i Melampus si sono spinti nel loro processo di scrittura.
L'incontro di sonorità sintetiche e atmosfere dense di spiritualità è il binomio sul quale poggia l'intero album, come ben evidenzia “Poor Devil”, nella quale riff ipnotici vanno a fare da sfondo all'intensa voce di Francesca Pizzo, che torna qui a indossare i panni di novella Nico. Ancora più interessanti risultano “Simple Man”, sorta di bossa nova appena accennato e in chiave gotica, e “Question #3”, narcolettica processione scandita dai tamburi. “Pale Blue Gemstone” conclude l'opera sconfinando in territori ambient.
L'immaginario sonoro imbastito dai Melampus si arricchisce con “Hexagon Garden” di ulteriori suggestioni, ed è nella rara capacità di mantenere un'impronta ben definita cambiando puntualmente registro che il duo Pizzo-Casarrubia riesce a costruire, ogni volta, dischi mai banali e sempre protesi verso orizzonti nuovi.
23/02/2015