Oslo Tapes

Tango Kalashnikov

2015 (DeAmbula Records, Dreaming Gorilla Records)
post-rock, art-rock, avant-rock

Torna il progetto “nordico” di Marco Campitelli ed è un altro gioiello di alternative rock italiano per l’ex-one man band ora trio che, anche questa volta, mette sul piatto non solo una serie di collaborazioni atte a dare risalto ed eco all’opera sempre in un’ottica di piena funzionalità al progetto ma anche la solita produzione firmata dal maestro Amaury Cambuzat, leader di Ulan Bator, la più importante band francese nel genere, e membro dei Faust dal 2005 al 2007. Il secondo album dell’abruzzese è un lavoro ancor più complesso del precedente che ha l’obiettivo di riportare in musica il viaggio attraverso i territori musicali nordeuropei sempre seguendo una linea d’improvvisazione di fondo che lo rende decisamente avanguardistico rispetto alla tradizione contemporanea dell’alt-rock tricolore.
Sotto quest’aspetto, appaiono non solo utili ma necessarie le compartecipazioni di artisti come lo stesso Cambuzat, Federico Sergente, Umberto Palazzo che con la sua timbrica e interpretazione profonda e distintiva fortifica e perfeziona il brano “Iceberg”, Sergio Pomante e il suo sax in “Simmetrie” e tanti altri. Il tema del viaggio è caratteristica primaria non solo di questo “Tango Kalashikov” ma dell’intera idea alla base di Oslo Tapes, formati nel 2011 proprio a seguito dell’esplorazione dei territori gelidi della capitale norvegese.

Se ovvi e immediati sono i paragoni tra questo lavoro e le opere degli Ulan Bator, non sarà comunque difficile ritrovarvi tutta una tradizione sperimentale che va dal kraut-rock, all’alt-rock e il noise di palese ispirazione Marlene Kuntz degli esordi, passando per un post-rock infarcito di spoken-word e, evidentemente la sua presenza non è un caso, un paragone non troppo azzardato va fatto proprio con Umberto Palazzo. “Tango Kalashnikov” suona quasi come l’anello di congiunzione tra l’esperienza più viscerale, impulsiva e vigorosa dei suoi Santo Niente agli esordi e l’ultimo lavoro più sperimentale. Una strada che unisce passato e presente, rinunciando comunque ad alcuni aspetti, come la peculiarità della voce, qui raramente in primo piano e spesso solo uno dei tanti elementi atti a costruire materia apparentemente deforme e puntando meno anche all’armonia e alla melodia, lasciata scivolare naturalmente tra note distorte e ritmiche dal sapore fumoso di un’Inghilterra che si affaccia agli Ottanta.

Se dunque il grosso difetto del pop indipendente all’italiana è di colpire le nostre orecchie prima sotto l’aspetto lirico e melodico, spesso distraendoci dalla pochezza strumentale, qui avviene esattamente l’opposto. Solo quando si è penetrati appieno in quella massa indistinta che è la musica, si potrà decifrare anche l’armonia che vi si nasconde e andare a cogliere le sfumature lessicali, formali e sostanziali, racchiuse nei testi degli Oslo Tapes, che quantomeno ci vengono incontro con l’utilizzo della lingua italiana. Il viaggio nascosto tra le pieghe delle dieci tracce di “Tango Kalashnikov” diventerà il nostro personale percorso, alternato in fasi irruente (“Grind”, “Metelkov”) e altre introspettive (“Bon Départ”, “Iceberg”) quasi trascendentali (“Kalashnikov”), tribali (“Ossa”) e lisergiche (“Simmetrie”, “Ellissi”, “Nord”) regalandoci anche pause soniche di più agevole e sollecita fruizione (“Gestalt”).
C’è coraggio, nel secondo album degli Oslo Tapes, c’è tanta qualità e nostalgia e una buona dose di disperazione che ha il sapore di rabbia soffocata nella frustrazione.

Usano un linguaggio antico, gli Oslo Tapes, per sbudellare la più moderna delle negative condizioni dell’uomo, e il risultato è un eccelso strumento per lasciarsi andare oltre il proprio corpo e imparare a contemplare la massa oscura che ci divora la mente con distacco e nordica freddezza.

25/11/2015

Tracklist

  1. Golgota
  2. Bon Départ
  3. Gestalt (Minute Song)
  4. Iceberg
  5. Ossa
  6. Simmetrie
  7. Ellissi
  8. Metelkova
  9. Tango Kalashnikov
  10. Nord

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