Figura sotterranea della scena sperimentale belga e tra i più stretti collaboratori di Dirk Serries, Ronald Mariën ha provato più volte a dare il via a un percorso artistico compiuto adottando il marchio Stratosphere. Dopo un paio di tentativi di buonissima fattura ma piuttosto sfortunati a livello di seguito, tre anni fa lo stesso Dirk Serries ha deciso di metterci lo zampino, producendo il suo debutto per Basses Frequencies “Dreamscape” e infilando il proprio nome come collaboratore centrale e l'hint a Projekt per il magistrale “In A Place Of Mutual Understanding”, il disco che ha sostanzialmente rivelato Stratosphere alle più vaste fasce del pubblico vicino ai suoni atmosferici.
Non sorprende così che il ritorno di Mariën, di nuovo per Projekt e stavolta in solitaria, si collochi sostanzialmente sui medesimi binari del precedente album, che sono poi quegli stessi che hanno regalato a parecchi artisti nordeuropei (Serries, sì, ma anche Hellmut Neidhardt, tanto per dirne un altro) parecchie glorie negli ultimi anni. Vale a dire la formula treated guitar + flussi sintetici in simbiosi armonica e perpetua ripetizione, una delle ultime frontiere di quell'ambient music votata all'evocazione di scenari altri possibili, che dalla scuola californiana di Steve Roach e Robert Rich ha ereditato buona parte delle sue premesse.
“Aftermath” è così una potenziale raccolta di classici del genere, a partire dall'introduzione languida e cullante di “Reaching The Aftermath” per proseguire nelle due fasi di “Search For Normality”, crescendo epico che si apre nella seconda metà a ondate di rumore graffiante e vibrazioni viscerali. “Endless Despair” funge da “sosta termica”, reiterando l'articolazione armonica fra due sole sequenze, e preparando il terreno al momento successivo. Decisamente meno demiurgico e più e più sospeso, il trip sintetico di “Confusion” si distacca sostanzialmente dal resto del disco, elevandosi a luogo della perdita di contatto con quella realtà costruita e solidificata in precedenza.
Il finale di “When You Think Everything Is Alright...” si pone come rassicurante uscita dal trip fra lampi di luce e arpeggi di elettrica per la prima volta riprodotti nel loro essere più organico, quasi bucolico. Un tassello che conclude all'insegna dell'equilibrio e del “lieto fine” una prova genuina e sostanziale di artigianato atmosferico, capace anche di squarciare quel velo sottile che tavolta tende a separare, alle orecchie dei meno avvezzi alle sonorità ambient, l'evocazione dalla narrazione. Un disco, per una volta, davvero “per tutti”.
16/12/2015