In effetti, la vastità di spunti e stimoli depone totalmente a vantaggio del duo, di suo ben attento a scrollarsi di dosso ogni possibile deriva-compilation e costruire un album attraverso mood e atmosfere piuttosto che nell'unità di sound. Ne deriva un lavoro rilassato e piacione, dai forti sentori lounge (anche se in un'ottica comprensibilmente diversa da quella tropical di Moomin), in cui anche a spingere sul pedale del ritmo e dei bpm non si varca mai una certa soglia di intensità e frenesia, preservando l'assetto fumoso e ciondolante del lavoro. È così che i Letherette possono permettersi di manovrare i propri campionamenti sia in direzione di un nostalgico motivo hip-hop anni 90 (l'iniziale “Momma”, con un notevole trattamento degli ottoni e del pianoforte ad ammorbidire la base e il bel flow di Rejjie Snow in direzione trip-hop), sia in chiave vintage r&b, ricostruendone le fogge ritmiche attraverso la lente deformante di una funky-house dal taglio atmosferico (è forse il beat di “Crescendolls”, quello che innerva la suadente malinconia di “Shanel”?), passando per più canoniche puntate in zona dance (la classicità deep di “Dog Brush”, i bassi ciondolanti di “Frugaloo”, a sorreggere una magnetica melodia a-testuale e ottime intersezioni di synth), senza perdere di vista il feeling, ipnotico e sospeso allo stesso tempo, proprio dell'album.
Non tutto sfugge a un certo manierismo nella progressione e nella gestione dei campioni, spesso tendenti a una certa monotonia di fondo nel loro utilizzo (la spenta microhouse di “Bad Sign”, il downtempo jazzy di “Soulette”), tutto sommato, però, il secondo lavoro dei Letherette si mantiene sempre su livelli più che dignitosi, proponendosi come ottima prosecuzione e ripensamento dell'omonimo album di tre anni fa. Mancano anche qui idee forti di scrittura, talvolta appiattite al minimo sindacale, comunque sia “Last Night On The Planet” si fa testimone di un aggiornamento stilistico che non lascia indifferenti.
(03/01/2017)