Coathangers

Nosebleed Weekend

2016 (Suicide Squeeze)
alt-rock

Cinque Lp e la metamorfosi delle Coathangers può dirsi compiuta. Da subito ogni loro dettaglio rispettava in pieno la riottosa etichetta rock, dal corredo estetico alla scelta di adottare l’intestazione a mo’ di finto cognome (con l’aggiunta di buffi nomignoli personalizzati) nemmeno parlassimo di Ramones o Oblivians. Per validare il canone del filologicamente corretto, si è in ultimo riassorbita la grande anomalia geografica che le riguardava, con il trasferimento da Atlanta alla San Fernando Valley in California, dove oggi vivono e dove il nuovo “Nosebleed Weekend” è nato, primo disco a essere registrato (dall’astro nascente Nic Jodoin) dal lontano 1979 negli storici studi di Jimmy Valentine.
Quello che raccontiamo qui è però anche l’album del decennale, un itinerario ricco che ha visto le ragazze diversificare la propria offerta dal brutale garage-revival e dal post-punk dei primi passi alle infezioni classic rock, alle ballate country-soul e il modernariato pop, attirando le simpatie di insospettabili estimatori come Kim Gordon e spingendo troppi critici faciloni a scomodare l’aggettivo “eclettico” per descrivere le loro prove recenti.

Più che di rivoluzione ha però senso parlare di involuzione, pura e semplice, con buona pace delle allodole solleticate dallo specchietto che accompagna l’edizione limitata del vinile: un kit personalizzato di pronto soccorso con maschera chirurgica autografata, tampone, preservativo, adesivo, leccalecca e scatola di cerotti. Quello di “Perfume”, “Had Enough” o “Make It Right” (ospite Jared Swilley dei Black Lips) è un indie-rock schematico e rotondo, con sottili marezzature elettriche e una propensione all’alleggerimento ammiccante che parrebbe endemica. Quietamente rudi, dirette, ma incapaci di mostrarsi crude fino in fondo, le Coathangers fanno leva su un bluff oltremodo gracilino, una stilizzazione pop-rock ruffianotta, per nulla impegnativa e solo a tratti godibile che, a ben sentire, gira a vuoto senza andare da nessuna parte.

Per certi versi vale il discorso recentemente fatto a proposito delle Bleached: senza riferimenti alti che siano davvero alla portata, le Nostre sembrano giocare la loro partita musicale in un girone di categoria abbordabile, che ha nelle Dum Dum Girls la sua sola testa di serie, mentre resta forte la suggestione che si riescano a guadagnare quei pochi punti proprio quando viene scelta apertamente la scappatoia frivola. Una proposta per forza di cose innocua, quindi, che in passato non si era mai rivelata scadente e che non lo sarebbe neppure oggi, se ci fermassimo a “Squeeki Tiki”, al punk-pop riallacciato alla tradizione più sguaiata dei Nineties, alle Bikini Kills, alle riot grrrls, con l’isteria controllata della casa che tutto sommato nemmeno sfigura nel confronto.

In “Dumb Baby” e nella title track, le Coathangers suonano invece come una versione senza optional di un paio di altri giovani fenomeni del sud, Sallie Ford e le Those Darlins rispettivamente: esercizi discreti e anche divertenti ma un tantino annacquati, svolti senza ardore e con troppa poca anima – difettano in particolare dell’indole autenticamente romantica delle succitate  attenti alla forma senza riuscire mai davvero esplosivi, mai cattivi o irriverenti (mentre il brano che presta il titolo alla raccolta tanfa di plagio ai danni di "In The Wilderness", delle fanciulle di Nashville).
Con “Excuse Me?” provano a darsi un tono, rallentando i giri e ammantandosi di una sensualità pure garbata, prima di lanciarsi sul refrain in un nuovo carpiato nella frenesia sopra le righe delle loro maschere. La discontinuità tirata all’esasperazione finisce tuttavia per illudere, perché toglie forza all’insieme rendendo l’ascolto solo un briciolo più interessante.

Alla confluenza delle diverse opzioni espressive approdano a pastrocchi privi di identità o carattere, che non vanno al di là della tiepida e disordinata ostentazione di muscoli e gridolini (“Watch Your Back”, “Burn Me”). Tredici tracce sono francamente troppe per un disco del genere, partito in tromba con l’intenzione di stupire a tutti i costi ma spentosi anzitempo, con una blanda ritirata sotto i colpi impietosi della noia (la chiusa di “Copycat” è l’emblema di questa mezza disfatta). L’impressione è che venga ricercata invariabilmente la via più facile, la soluzione più mediocre e regolare, limitando i guizzi a qualche espediente di puro contorno, senza spessore drammatico, senza sudore vero e rabbia non simulata. La scrittura non osa mai qualcosa in più del solito, trito, formulario scolastico. E spiace, sinceramente, perché fino a un paio di giri fa le ragazze avevano dimostrato di valere ben più di queste confuse esternazioni da rocker-caricatura al minimo sindacale.

11/04/2016

Tracklist

  1. Perfume         
  2. Dumb Baby   
  3. Squeeki Tiki   
  4. Excuse Me?   
  5. Make It Right
  6. Nosebleed Weekend 
  7. Watch Your Back     
  8. Burn Me        
  9. I Don't Think So       
  10. Down Down  
  11. Hiya   
  12. Had Enough  
  13. Copycat