Deep88

The Black Album

2016 (12Records)
deep-house

Se nel 1991, dunque in tempi non sospetti, Todd Terry dichiarava "house is a feeling", vent'anni più tardi, in uno scenario come quello italiano che dal grande Don Carlos in giù può guardare a testa alta i giganti di Chicago, Alessandro Pasini da Forlì, in arte Deep88, pubblicava la sua "Don't Play Minimal, Play Minigolf". E un lustro più tardi, con il suo nuovo lavoro, intitolato "The Black Album", il tempo sembra avergli dato ragione. Vediamo perché.

Prendendola larga, si potrebbe dire che esistono molti modi di raggiungere quel senso di oneness che fin dai primordi è sempre stato il cuore di tutta la dance music, in ogni sua possibile declinazione. E sia pure tra contraddizioni e volgarizzazioni di vario genere, dall'inconsistenza minimal dello scorso decennio a quella vaporwave di questo decennio, la house music rimane probabilmente il "contenitore" che più di tutti è riuscito a definire in quella direzione le proprie coordinate.
Più di techno e ambient, infatti, la house contemporanea è riuscita a conservare un fil rouge, un legame con le proprie origini che trova il suo segreto nella semplicità assoluta della formula sonora. Un'essenzialità tale, peraltro, da permettere al genere house di conservare, anche di fronte ai cambiamenti del gusto e del mercato, la sua peculiarità espressiva - quella capacità di trasmettere all'ascoltatore un senso di "elevazione" nel complesso più credibile sia rispetto agli eccessi emotivi della trance sia a quelli intellettualistici di marca autechriana.

Una direzione così definita e quindi classica, quella seguita anche da Deep88, da non prevedere grandi rivoluzioni da brano a brano, da Ep a Ep, da album ad album; in questo senso l'impianto di "The Black Album" rimane al 100% Chicago, come dimostrato dalla perfetta architettura di "Chord Prog", che per funzionare non ha bisogno di null'altro se non di un canonicissimo intreccio di ornamenti ritmici old skool e di timbriche celestiali.
Il rischio del manierismo è però accuratamente evitato: "The Black Album" convince proprio per la capacità di rimanere fedele alla tradizione house e di esprimerne in parallelo la fluidità, la malleabilità, la sua continuità (non solo storica) con i generi "cugini".
Ne è la prova la struttura in tre parti di "Rotation", che in meno di sei minuti riesce a creare una credibile staffetta a ritroso con la giocosa neo-italo dei Jollymusic di "Jollybar", con la frenesia del Derrick May più ispirato e con la pomposa space-disco anni 70 dei Kano. Rispetto ai lavori precedenti, tuttavia, Pasini mette un po' da parte il richiamo ai colori italo e all'euforia balearica, a favore di un maggiore intimismo, che sfiora sì Detroit ("Me, Myself and an MPC") e Düsseldorf ("Schlagsahne" non avrebbe sfigurato su "Tour De France Soundtracks") ma senza farsi risucchiare dalla loro orbita.

Lasciate alle spalle alcune piccole incertezze sulla direzione sonora da intraprendere che avevano reso un po' troppo dispersive le le sue ultime, pur godibili uscite (in particolare la collaborazione del 2015 con Melchior Sultana, dal titolo "Playing Without Moving"), Pasini ritrova dunque con "The Black Album" la sua migliore forma: un lavoro compiuto e omogeneo, intriso di pensosità heardiana (nelle timbriche e nelle venature soft-jazz di "Harmony intro" e "Sunday Morning") e insieme straripante di personalità. Notturno, ma pieno di colore e di positività, nel solco della house music più autentica. Un disco destinato a rimanere.

14/05/2016

Tracklist

  1. Harmony intro
  2. Harmony
  3. Rotation
  4. Face it
  5. Sp1200 Jam
  6. Schlagsahne
  7. Chord prog
  8. Me Myself and an MPC
  9. Sunday Morning

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