È decisamente un punto d'arrivo, questo "Lost in Translation", per Andrea Vascellari, "il" cantautore slowcore italiano per eccellenza, abbastanza solo da noi nel suo genere per dover trovare conforto all'estero: per questo disco, si è avvalso della collaborazione di una lista piuttosto impressionante di personaggi (Mark Rolfe dei Lorna, Tara Vanflower dei Lycia ecc.), che hanno tradotto per lui i testi di canzoni edite, ma riarrangiate seguendo il gusto degli esordi del progetto Lullabier: acustica e field recording.
Il risultato è gradevolmente terapeutico, con quel pizzico di distacco dai testi, dato dalla lingua straniera, che rende più facile l'ascolto, soprattutto dato lo stile "ascetico", ultra-minimalista di Andrea, che in lingua nativa può risultare respingente.
Dal punto di vista strettamente musicale, gli arrangiamenti ai minimi termini richiamano placidi moti ondosi e lontani echi di tempesta, alla maniera dei Kings Of Convenience più introversi, o dell'ultimo Matt Elliott.
Si tratta, insomma, di un punto d'arrivo, ma anche di partenza, per Andrea, davvero ispirato nell'interpretazione del suo repertorio, per come azzecca i piccoli accorgimenti con cui sottolinea i passaggi dei suoi brani (l'uso della voce in "Bonds", il suono "sitaristico", liturgico della chitarra in "Fire" e "Desire", e così via).
27/05/2016