Magic Trick

"Non sono il più talentuoso, ma sono più tenace". Così si definiva non più di qualche settimana fa Tim Cohen, nel presentare il suo nuovo lavoro a firma Magic Trick, mentre quello dei Fresh & Onlys è in lavorazione. Progetto alternativo da non confondere col moniker Tim Cohen's Magic Trick, che potremmo però definire suo alter ego solipsista.
Si rischia davvero di venire risucchiati nel mondo di Tim, vero e proprio precursore dell'era psych-garage, in un'accezione più freak e sessantottina di quella patinata e trendy che lo ha seguito, in piena sintonia con la scena di Frisco, da cui proviene: e il progetto Magic Trick, decisamente qualcosa in più del side project a tempo perso che in molti mantengono per pura logorrea, è forse quello in cui la multiforme anima artistica di Tim si è lasciata più andare.

"Other Man's Blues" è in realtà molto lontano non solo dalla torrenzialità quasi ermetica e ambiziosa dell'esordio-capolavoro "The Glad Birth Of Love", ma anche dall'etichetta sonora di psichedelia understated e dalle forti venature pop dei lavori successivi, e si distanzia anche come primo lavoro a non rispettare l'elegante artwork che contraddistingueva gli album Magic Trick.
Ma si tratta comunque di un disco da un lato più "standard", in cui alcune aperture strumentali hanno un carattere da "boutique-Americana" alla Wilco, con un suono relativamente pulito e assoli sardonici e guizzanti ("Eternal Summer", "First Thought"). Forse un disco un po' "liscio", e privo del tiro apprezzato nell'ultimo Kevin Morby, il più accostabile, con qualche traccia ("Oysters", "Startling Chimes") e soprattutto arrangiamento scritti a occhi chiusi.

L'eclettismo di Cohen, con i suoi richiami wave ("Purest Thing", "I Held The Ring"), le sue svisate proggarole ("More"), si agita sempre sottopelle, e non manca comunque la classe di fondo della sua scrittura ("Forest Of Kates", "Scorpio"). Però "Other Man's Blues" rimane comunque il disco più "normale" e meno riconoscibile della carriera a nome Magic Trick.

15/09/2016