Matthew Parmenter

All Our Yesterdays

2016 (Bad Elephant Music) | neo-prog, art-rock

"All Our Yesterdays" è il terzo album solista di Matthew Parmenter, il primo per la nuova etichetta. Dalla vecchia band dei Discipline, solo Paul Dzendzel (batteria) collabora con la sua presenza in quattro brani. Come risultato, scaturiscono arrangiamenti naturalmente più spogli, con la voce di Parmenter che trova così modo di emergere in maniera cristallina nelle sue arie oscure e armoniche. L'atmosfera dei pezzi è molto simile a quella delle opere soliste di Peter Hammill e delle ballate gotiche dei Van Der Graaf Generator, come si potrebbe intuire anche dall'artwork di copertina, in cui l'ex-Discipline si presenta con un antico cappotto che porta alla mente i ritratti ingialliti di Edgar Allan Poe. D'altro canto, il volto truccato di Parmenter, sfigurato nel suo alter-ego "Magic Acid Mime", riesuma invece la teatralità istrionica di Peter Gabriel. Il polistrumentista di Detroit attinge quindi la sua musica direttamente dal passato, senza recenti intermediari, concentrando tutti i suoi sforzi nell'opprimente allineamento tra l'interpretazione vocale e quella strumentale, portando spesso alla luce intimi paradossi e ammalianti contrapposizioni.

Da "Le mille e una notte" nasce la tetra cantilena di "Scheherazade", una canzone che presenta opportunamente il Parmenter affascinante narratore, un tessitore di storie dentro ad altre storie. È un lento bruciare, intriso di emozioni e di sentimenti conflittuali, a cui fa seguito la sua coda strumentale "Danse du Ventre", piccola epopea di piano, frippertronics e percussioni.
Altrove, l'impatto sonoro è sempre quello di un disco della metà degli anni Settanta, dove la maggior parte delle canzoni sono basate sulle melodie del pianoforte, con basso, organo e chitarre che vanno a vestire il melodramma progressivo di Parmenter. È questo anche il caso di "Digital" e "I Am a Shadow", che preludono a quella che probabilmente è la traccia migliore del conio, la funerea sinfonia di "All For Nothing". Matthew seduce l'ascoltatore gettandolo in una cisterna di emozioni ataviche, mentre i confronti con Peter Hammill non possono fare a meno di insinuarsi nel padiglione auricolare, nonostante Matthew dimostri una potenza che lo rende a tratti più vicino alle eccentriche opere-rock di Meat Loaf.

Per la cupa title track l'ex-Discipline utilizza perfino uno dei più celebri soliloqui di Shakespeare, tratto da "Macbeth" (atto V, scena V), ma nella seconda parte dell'album il carattere della musica cambia improvvisamente. Con "Stuff In The Bag", Parmenter si prende infatti un congedo della sua coscienza, una breve vacanza che si scontra nel suo percorso con la tantrica sonata per piano di "Inside".
Chiudono lo sfogo acustico di "Consumption" e la marcia redentiva di "Hey For The Dance", incorniciando perfettamente la voce di Parmenter come strumento finemente lavorato in sé.

Da "All Our Yesterdays" non ci si possono aspettare rivoluzioni, ma neanche grandi momenti di debolezza. Ogni traccia deve essere presa per i propri meriti individuali, anche se l'effetto globale della tracklist in successione trascende indubbiamente la singola canzone. L'ascoltatore viene così cullato e catapultato in un viaggio onirico e allegorico, da cui non può che riemergere trasformato alla fine del disco. Tuttavia, una volta aperti gli occhi, l'unico difetto che permane è l'inconfutabile verità che, almeno in questo mondo, di Peter Hammill ce ne sia già uno.

(17/07/2016)

  • Tracklist
  1. Scheherazade
  2. Danse du Ventre
  3. Digital
  4. I Am a Shadow
  5. All for Nothing
  6. All Our Yesterdays
  7. Stuff in the Bag
  8. Inside
  9. Consumption
  10. Hey for the Dance
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