Studiosa di vocalismo sperimentale, membro dei Kantores e collaboratrice dei Miriam, musicista completa con diversi premi e riconoscimenti nazionali, Angelica Sauprel Scutti diventa infine naturale rampolla del cantautorato capitolino col singolo "In una città" (2004), con cui rinnova tecnologicamente la vena mediterranea. Il debutto su lunga distanza "Pomeriggi similabissali" (2006) è così un tripudio di arrangiamenti artificiali high-tech con un buon tocco di scrittura.
Colpita da sclerosi multipla e costretta in più fasi all'immobilità e all'impossibilità di vedere, scrivere, cantare e suonare, Scutti trova comunque la forza di comporre una vasta opera teatrale in ventidue scene per ensemble jazz, "Niagara Rendez-Vous". Lungo gli anni ne viene ricavata e incisa su disco una riduzione di un'ora, con l'autrice come unica interprete. Per quanto oltremodo sofisticato e rifinito, il disco finale suona molto più tradizionale del predecessore, orientato al pianoforte - a partire dal lamento lirico di "Dialogo al buio", e improntato a un intellettuale swing-pop d'autore. Non è esattamente un'esplosione di originalità, anche se la narrazione dolente e la riflessione esistenziale che ne emergono portano risolutamente in primo piano la Scutti persona, al di sopra dell'artista.
L'atmosfera late night, un po' scontata, rimane invariata anche in "Tra di noi", nell'acid-jazz di "Ritratto di una suicida", e nel tabarin di "Exageres", mentre Scutti canta e racconta di perdizione e autodistruzione; solo in "I vestiti, via!" e "L'assoluzione dell'asfalto", sorta di danse macabre, si permette scampoli di recitazione teatrale che contrastano astutamente con l'accompagnamento soffuso. La classe è comunque salda, e affascinante è "Plenilunio", confessione che si dissolve a tempo di bolero. A parte la ballata Gianna Nannini-esca di "Contronatura", con chiusa isterica, l'autrice salvaguarda l'ascolto con "55 parole", piccolo baluardo di sceneggiata creativa, e con "Noir Comme Le Ciel", quasi prog.
Il passaggio dallo spazio teatrale a quello aurale si sente, mettendo in evidenza che, nonostante la bravura degli interpreti (uno stuolo di undici elementi), la macchina dello svolgimento schiaccia i suoni. Questa bidimensionalità di fondo diventa comunque epica da poema in ottave nell'organizzazione generale, nel rendere cantabili e quasi orecchiabili scansioni e blocchi di testo per nulla cantabili e orecchiabili, con una cadenza sempre precisa e, talvolta, modulata in sospiro o alzata in invocazione. Ne esce una parabola d'antieroina suicida che evita accuratamente la rima, e si prende il giusto tempo per le figure retoriche, enjambement, analessi, rime interne, allitterazioni. È qui che questo musical difficile e monologico contrasta e quasi supera il Tito Schipa Jr di "Orfeo 9", ma volendo anche "Jesus Christ Superstar". Realizzato interamente in analogico. Illustrazioni di Lorenzo Monaca, pittore romano.
05/06/2017