Chuck Berry

Chuck

2017 (Decca)
rock'n'roll, songwriter

Come nel manzoniano "Ei fu", non si riesce ancora a credere fino in fondo alla morte di Chuck Berry. Per tutto questo tempo, da quando ha dato il la al rock con quel riff suonato "a mo' di campanella" fino al tardo marzo 2017, egli c'era. Aveva compiuto tour e concerti fino allo sfinimento - fin alle soglie dei novant'anni - sempre con la stessa voglia, come a cercare di mantenere costantemente viva l'identificazione tra se stesso, il creatore, e l'invenzione, il rock'n'roll, e propagandare il buon vecchio verbo di generazione in generazione. E per un soffio non gli è riuscito di raggiungere l'ultimo traguardo, quello di veder impressi sui solchi i suoi ultimi lasciti creativi, a decenni dall'ultimo "Rock It" (1979). Questo, che è il suo ventesimo album, ha dunque un destino affine e di poco diverso agli ultimi album di Leonard Cohen e David Bowie (al contrario pubblicati poco prima della dipartita), e finisce per situarsi con serenità nel regname delle opere postume.

S'intitola "Chuck", ma si deve leggere "Toddy", perché non si tratta né di un compendio della sua carriera né di un vaticinio, ma del tentativo di un artista che ridiventa per un attimo esordiente, quasi ricominciando in un'orbita parallela. Niente più "piccole dolci sedicenni", o "bambolette", niente più taglienti disquisizioni sulle "troppe buffonate", o rollii proto-punk "sopra Beethoven", ma solo una dedica, quasi un concept, alla moglie Themetta "Toddy" Suggs, inseparabile musa e compagna di vita. E la dedica si fa acuta in "Wonderful Woman", festa rockabilly dallo sbalorditivo entusiasmo, dove Chuck quasi riavvolge in un sol colpo il nastro della storia del rock, ed evoca ancora i suoi figliocci, dai Beach Boys ai Creedence, da Lou Reed agli Ac/Dc, ancora tutti lì a venerare. Il suo "ding-a-ling" risuona alla grande anche in "Big Boys", con coro, forte della classica rima a mitraglia, per tratteggiare un'autobiografia dell'ascesa al successo.

Eroe dei 45 giri, idiot savant del long-playing, come altri colleghi illustri dell'epoca d'oro. Anche il limite è perciò quello di sempre: la poca dimestichezza col formato lungo, un complesso che Chuck porta da quel "After The School Sessions" (1957), sessant'anni esatti. Si affloscia nel sentimentalismo in "You Go To My Head" e la Ray Charles-iana "Darlin'", nella balera "¾ Time", registrata dal vivo, e nella pur non indegna filastrocca-soliloquio un po' Bo Diddley "Eyes Of Man". C'è persino un numero pretenzioso, un passo gangster con declamato, "Dutchman".
Assimilabile al ritorno dei Sonics, per via della fonografia analogica che s'aggiusta di digitale per perfezionare con goffaggine il respiro d'antiquariato, è un affare teneramente familiare anche per le partecipazioni dei figli, alla chitarra ritmica (Charles Jr.) e all'armonica (Ingrid), a fianco dei fidi Blueberry Hill (Robert Lohr, Jimmy Marsala, Keith Robinson). Due sequel che strappano solo un sorrisetto, "Lady B. Goode", il corrispettivo femminile (sempre la moglie) del leggendario "Johnny", e l'erede di "Havana Moon" (1956), "Jamaica Moon", nel suo tipico filone esotico.

16/06/2017

Tracklist

  1. Wonderful Woman
  2. Big Boys
  3. You Go To My Head
  4. ¾ Time (Enchiladas)
  5. Darlin'
  6. Lady Be Goode
  7. She Still Loves You
  8. Jamaica Moon
  9. Dutchman
  10. Eyes Of Man

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