L'album si compone di dodici tasselli che vanno a creare un'unica esperienza a livello cerebro-musicale, tra field recording, voci spettrali e darkwave. È un paesaggio molto suggestivo, fatto di architetture sfacciatamente futuriste ("Apollon Musagete") e momenti più introspettivi ("White Horse", "When Horses Die"). C'è spazio anche per ballate elettroniche piuttosto suadenti come "My Own Way", che si fa largo nella mente dell'ascoltatore con le sue declamazioni piuttosto visionarie ("Giocavo sempre nel mio peregrinare/ sputavo sulle loro fedi false/ per dirla a modo mio dell'anarchia/ a volte della terra mi fidavo"). La Divisione Sehnsucht mostra anche il suo lato femminile grazie all'ospite Lisa P. Duse, che presta la sua ugola in "Brucia il mio nome", non disdegnando poi neanche momenti più votati all'ambient-pop ("The Sun Devours", "Fields Of Light") o alla dub ("I Have Lost You Have Gained").
Le voci sono sempre presenti, a volte come un brusio di sottofondo, altre invece sono lì per innescare qualche forma di meditazione tra le onde del synth, che infrangono spesso la barriera del suono: è questo il caso di "Lob" ("siamo la verità che non muore in questi tempi barbari/ ci distingue la fede, la forza, il rancore"), destinata a esplodere nella tempesta elettrica del finale, dalla quale scaturisce l'arcobaleno minimal wave di "Div Sehnsucht". Chiudono il disco "Fire In My Eyes" e "Polar Auroras", brani che rimangono impressi come l'aurora boreale al culmine di una notte solitaria, seppur scossa da voci (forse?) solo immaginarie, come quelle che popolano la prova di esordio della Divisione Sehnsucht, che dimostra di avere già tutte le carte in regole per ammaliare i propri ascoltatori.
(10/03/2017)