Partendo da una materia prima che sprofonda nel sound di Seattle, il disco mira a colpire il lato più malinconico dell'ascoltatore, presentandosi in una veste a metà tra l'ingenuità grezza di chi ha un casino di idee per la testa e ancora tanti anni per esprimerle e un romanticismo appassionato, introspettivo, quasi esistenziale, non certo proprio della giovinezza. La stessa sorta di confusione si riversa nella musica stessa, con un garbuglio accidentale di distorsioni e suoni languidi, melodie che sembrano fare il verso al compianto Jeff Buckley e suoni che paiono strappati a sconosciute B-side dei Radiohead, urla sgraziate miste a un cantato quasi indistinguibile, cantautorato italiano di quello che vuole suonare diverso per forza e che fa il verso da lontano agli yankee anni Settanta, e poi ancora accenni post-rock e vaga psichedelia blues.
Sei pezzi che poco ci aiutano a capire dove possano davvero arrivare i due giovani; una confusione eccessiva che, in sostanza, mai trova una via di fuga verso l'espressione riuscita di una visione artistica; un piede sul freno e uno sull'acceleratore a sballottarci di continuo, fingendo di catapultarci altrove per poi ribatterci violentemente a sedere.
Il rischio degli esordi è questo: la difficoltà di focalizzarsi su qualcosa per urgenza espressiva può portare a riversare troppo. Troppo che finisce per diventare troppo poco, in un album di circa trentadue minuti, come fosse l'opera di un pittore indeciso sul colore a tempera da usare che si ritrova a mescolare tutti quelli che ha a disposizione. Stavolta il risultato è un pasticcio coraggioso ma non abbastanza, se proprio sul coraggio si doveva puntare; speriamo che il capolavoro sia solo rimandato alla prossima puntata.
(04/10/2017)