I wanted so badly to be straight for my wife...
(Michael Angelakos - Passion Pit)
Nella pellicola che avvolge "Tremendous Sea Of Love" c'è una donna con il mare fino ai fianchi. Sembra stia combattendo contro la corrente. È il preludio a un disco sofferto, che soprattutto racconta l'amore, una forza dolce e "tremenda", che spinge a fondo con la stessa facilità con cui trascina in spiagge paradisiache.
Il nuovo album dei
Passion Pit parla proprio del dolce lido che Angelakos - leader e cantante della band - condivideva con sua moglie e che dopo tre anni ha deciso di abbandonare concedendosi alla burrasca, unico viatico per ritrovare se stessi e la propria identità. Per forza di cose, quindi, "Tremendous Sea Of Love" non può che generare simpatia - nel senso greco del termine - nei confronti di Kristina Mucci, moglie di Angelakos, lasciata dopo tre anni di matrimonio per ammessa - nonché fino ad allora taciuta -
omosessualità del marito.
"Tremendous Sea Of Love" è un album su Angelakos, carnefice nell'episodio, vittima nella vita; sulla sua personalità disturbata, sfaccettata, frammentata e complessa, proprio come il
sound incarnato dai Passion Pit. Ma è anche un disco sulla Mucci: eroina, amazzone ferita che si carica sulle spalle gran parte dei riferimenti testuali presenti nel disco, da quelli più diretti ("Hey K") a quelli più reconditi. Rialzatosi dalla sbronza artistica dell'improponibile "Kindred", Angelakos ha scritto e prodotto il lavoro più ambizioso della discografia dei Passion Pit; un percorso a tratti ambient e a tratti cantautorale, pur restando nell'ambito di quell'electro-pop che è sempre stato la vera essenza della band americana, sin dal primo e deliziosissimo "Manners".
Si disegnano caleidoscopi sonori, ma anche atipici tessuti hip-hop su cui apparecchiare le proprie tipiche cifre stilistiche ("The Undertow"); manca la nuova "
Sleepyhead", piccolo miracolo che sconquassa il quotidiano, che ti conduce alla riproduzione fino allo sfinimento, fino a fartela odiare, fino al punto di fartela ignorare, dimenticare, abbandonare e poi, ma solo poi, recuperare, chissà perché e chissà come, nell'unico modo possibile per coglierne di nuovo il suo reale valore.
C'è qualche passaggio a vuoto, che sembra ripescare dallo sciagurato "Kindred", ma c'è anche una ballata che in un universo parallelo, in cui negli anni 50 impazzava l'indietronica, avrebbe riempito lo spazio aperto di qualche palestra liceale d'oltreoceano, durante il ballo di fine anno ("You Have The Right"). C'è
Yann Tiersen che ingoia sintetizzatori - "For Sondra (It Means the World to Me)" - e un balbettato discorso interiore, che nel
bordereau di un dj, durante certi passaggi, farebbe venir giù le mura portanti del club ("Inner Dialogue").
In questo tremendo mare d'amore, insomma, è più il tempo in cui si trova che quello in cui si erra cercando. Ed è solo un bene. Per Angelakos, per Kristy e per tutti noi.
14/05/2017