Ci sono vari modi di approcciare la musica pop: quello accattivante e ruffiano è senza dubbio il più propizio, ma anche l’approccio intellettuale (o cosiddetto alternative) ha i suoi risvolti positivi in termini di successo e notorietà.
Meno fortunato, comunque spesso destinato a diventare oggetto di culto, c’è uno specimen del mondo pop dove tutto è gradevolmente naif, a volte fragile e poco appariscente, un panorama ampio dal quale spesso l’intellighenzia musicale recupera artisti o brani ai quali donare cinque minuti di notorietà.
Poi ci sono gruppi come la Beta Band, capaci di interagire con più forme del pop restando abilmente in bilico tra successo e oblio: in questa immaginaria terra di mezzo, c’è un nutrito gruppo di artisti dalle alterne fortune, tra cui i Bees.
Dopo il mancato successo dell’ultimo progetto “Every Step's A Yes” e il flebile tentativo di ampliare il proprio pubblico suonando come open-act dei Fleet Foxes, gli ex-Bees, Aaron Fletcher e Tim Parkin, ritornano sulle scene dopo otto anni di silenzio discografico con una nuova formazione, i 77:78.
L’esordio, pubblicato dalla Heavenly, è uno scrigno ricco di piacevoli bozzetti pop, ancora una volta lontani dalla magniloquenza sonora di band famose come Oasis o Coldplay, ma allo stesso tempo privi di spocchia intellettuale o avanguardista; insomma, “pure pop for now people”, come direbbe Nick Lowe.
Sempre abili nell’intrecciare voci su tempi gospel-beat (“Compass Pass”), eccentrici e accattivanti come una band ska innamorata del soul stile Tamla Motown (“Love Said (Let's Go)”), finemente barocchi alla maniera dei vecchi gruppi vocali di white-soul (“Pour It Out”) e perfino psichedelici al punto da suonare come un incrocio tra i primi Pink Floyd e i Beach Boys (“E.S.T.W.D”), i 77:78 mettono insieme un album, “Jellies”, che mantiene le premesse e le promesse, centrando almeno un pugno di canzoni rimarchevoli, gradevolmente sfilacciate e volutamente imperfette.
Per i più famelici e insaziabili segnalo anche la geniale citazione kraut della Beta Band di “If I'm Anything”, il latin-soul di “Copper Nail”, il garage-beat tinteggiato di exotica di “Chilli”, l’ironico sberleffo country di “Situations” e il fantasioso suono della sezione fiati di “Shepherd's Song” : tanti piccoli pezzetti di un mosaico pop perfetto come colonna sonora estiva.
L’esordio dei 77:78 non è comunque avulso da difetti, lo spirito pop retrò dei “Jellies” è un’arma a doppio taglio, anche se la mancanza d’originalità è oltremodo peculiare e inevitabile. Infattti il duo inglese, più che mirare a creare qualcosa di inedito e rivoluzionario, preferisce catturare la freschezza e lo swing della musica pop anni 60, 70 e 80 attraverso una serie di melodie e ritornelli orecchiabili, confermando la vena di autori di puro pop e il definitivo abbandono del termine alternative. Un’operazione perfettamente riuscita, che non mancherà di creare un potenziale fan-club, per una band che sembra promettere ancora sorprese per il futuro.
24/08/2018