Barberini, nome d’arte di Barbara Bigi, è un’artista romana. Suona, canta, scatta fotografie che rispecchiano il mood delle sue canzoni: intime, minimali e dal sapore un po’ retrò. Il suo omonimo album d’esordio, prodotto e arrangiato da Filippo Dr.Panìco per Frivola Records, comprende nove brani e si fa portavoce di un dream-pop leggero ed evocativo.
Il primo singolo che anticipa l’uscita del disco, “L’ultima notte”, rispecchia perfettamente queste atmosfere: “Se il mondo finisse io ti chiamerei/ e tu avresti l’aria distratta/ una sigaretta in bocca e altro per la testa”. Le voci di Barberini e Filippo Dr. Panìco si contaminano e si inseguono, sfumate e vaporose. A fare da sfondo una melodia sognante, che spazia dalla noia a note malinconiche, mentre il testo è costruito su un alternarsi di domande verso l’esterno e una timida introspezione.
La stessa cifra stilistica viene ripresa in “Le balene”, secondo estratto, dove si racconta di lunghe e lente domeniche da riempire con gite al mare e NBA. A metà canzone, in sottofondo, si sente l’annuncio della partenza di un treno, che porta alla mente proprio le gite domenicali, cariche di zaini e ombrelloni. E così è facile farsi rimbalzare dalla musica, come un’onda che va e viene.
“Le cabriolet” è il terzo e ultimo brano che anticipa l’uscita del disco. Parte piano, portando con sé una buona dose di hype, e va avanti così fino a circa metà, quando prende vita. La base è ancora più minimale delle precedenti, solo a un minuto dalla fine avanza timida una batteria che accompagna la chitarra nella conclusione del brano.
“SPKU” dà più spazio ai synth e spezza le atmosfere ovattate e sognanti delle precedenti canzoni: “Inventeremo nuove religioni/ e moriranno nuove rockstar/ parleremo lingue nuove/ abiteremo case perse in nuove città”. Sembra la fotografia di una nuova generazione, quella di Barberini.
Il viaggio si chiude con “Titoli di coda”, molto sfumata: “I truccatori corrano a nascondere il mondo/ che tutto sembra più facile con un make-up”. In sottofondo rumori lontani, forse una spiaggia affollata o una grande città, poi il suono delle cicale e fischi che sembrano canti di uccellini. Un bell’epilogo, malinconico e dolce al tempo stesso.
Nella copia fisica del disco sono presenti le bellissime foto della cantautrice, che si possono vedere anche sul suo account Instagram: uno specchio, dei palloncini, Superman. Nove scatti che accompagnano i testi e rappresentano un ulteriore storytelling.
Barberini è dotata di una grande sensibilità ed eleganza, tuttavia non spicca nel suo esordio: le melodie faticano a restare in testa, così come le parole, e l’album sembra tutto uguale. L’accompagnamento musicale non sempre è azzeccato: alcuni testi, per la loro bellezza, sembrerebbero più adatti a essere recitati come poesie, che cantati con delle basi in sottofondo.
Se non altro, però, abbiamo finalmente un’artista della scena romana che non abusa dei synth e non parla ossessivamente della sua città, ma anzi opera al contrario: togliendo e riducendo all’essenziale. Ci sono sicuramente tutte le premesse per una crescita, in quanto Barberini parte già con uno stile tutto suo e proprie caratteristiche che la distinguono dalla maggior parte dei cantanti sulla scena in questo momento.
19/07/2018