Incomincia con una scarica di adrenalina questo 2018. Dopo l’ottima prova degli
Shame, tocca ora ai veterani Half Japanese svegliarci dal torpore post-natalizio con un disco che conferma lo stato di salute della band di Jad Fair, da sempre autrice di un noise-pop effervescente come il miglior power-pop, nonché lievemente ispido come il più brioso garage-pop.
“Why Not?” è l’elogio della felicità, scandito al canto di “The Future Is Ours”, un delizioso ska-pop con tanto di organetto e spavalderia punk, la stessa che in “The Face” rimette in gioco garage-rock e tentazioni
barrettiane, elementi primari di un disco frenetico e istintivo come solo il rock’n’roll può essere.
Sempre diretta e
naif, la musica degli Half Japanese si avvicina sempre di più alla purezza del miglior pop, onesta e stravagante quanto basta da suonare come una perfetta colonna sonora per un immaginario e fumettistico viaggio nello spazio siderale (“Spaceship To Mars”,“Amazing”,”Why Not?”), a tratti romantica come un'infatuazione adolescenziale (“Falling”), eppur ancora insolente e lunatica (“Zombie Island Massacre”).
“Why Not?”, in definitiva, suona come un potenziale ibrido stilistico tra Jonathan Richman,
Daniel Johnston e i
Fall. Il tutto condito da una grazia psichedelica alla
Feelies (“Better Days”), che con leggiadria sbarazzina stempera i toni finto-apocalittici. Il fatto che un brano come “Bring On The Night” suoni come se gli Half Japanese strimpellassero su strumenti raccolti in strada e assemblati con scotch e corde, o che “Magic” assomigli a un potenziale
hit-single di cui si è deciso di pubblicare il primo
demo, dimostra che per Jad Fair e compagni (Mick Hobbs, John Sluggett, Gilles-Vincent Rieder e Jason Willett) la musica è ancora fonte di divertimento e meraviglia.
Appare chiaro che le intenzioni di “Why Not?” sono quelle di restituire il sorriso dopo la triste e funesta elezione di Donald Trump, argomento che in parte aveva caratterizzato il tono più cupo di “Hear The Lions Roar”. La musica diventa così una via di fuga intelligente e anticonformista, attraverso la quale ricaricarsi prima di affrontare la banalità del quotidiano. Ed è forse per questo motivo che l’album scivola via con maggior scioltezza su canoni rock’n’roll, spesso tinteggiati da curiose incursioni strumentali psichedeliche che raggiungono la loro apoteosi nella surreale e magica “Why’d They Do It?”, un valzer grottesco e teatrale che si è già impossessato dei vertici della mia personale playlist.