Less Bells

Solifuge

2018 (Kranky)
ambient/drone, modern classical

Quella fra la musica ambient/drone e l’etichetta canadese Kranky è una relazione privilegiata e quantomai duratura: da nomi ormai storicizzati come Windy & Carl, Stars Of The Lid, Pan•American e Tim Hecker, la tradizione è proseguita in anni recenti con Grouper, Benoît Pioulard e Christina Vantzou, numerose e ben distinte declinazioni di un’estetica riflessiva e profondamente evocativa.
Se questa fucina di visionari può a buon diritto definirsi una “scuola”, quest’anno Julie Carpenter dimostra di essere tra i primi della classe con un Lp d’esordio – firmato a nome Less Bells – che aderisce perfettamente alle atmosfere riconducibili alla label di culto, giunta ora al venticinquesimo anno di attività.

Dall’unione di due termini particolarmente risonanti (solitude e refuge) Carpenter ricava la crasi “Solifuge”, sentimento e luogo di un animo che ha trovato ispirazione nella contemplazione individuale della natura – il paesaggio locale durante la stagione dei monsoni o sotto un cielo stellato – dando voce per la prima volta a una vena orchestrale tutta interiore, opposta alla magniloquenza propria dell’era classica.
D’altronde la violinista di Joshua Tree (California) ha in curriculum alcuni illustri precedenti con The Brian Jonestown Massacre e The Eels, e questa raccolta di brani autografi è la prima occasione di misurarsi con composizioni di più ampio respiro, estendendo il proprio gusto melodico a un organico di strumenti elettronici (synth modulari, Optigan) e acustici (archi, chitarra, voce e percussioni).

In effetti c’è parecchio in comune con gli esordi della stessa Vantzou come anche il progetto A Winged Victory For The Sullen, improntati a una delicata simbiosi tra elementi neoclassici e atmosferici, senonché in “Solifuge” essi conservano maggior concretezza e riconoscibilità nei pizzicato e nei vibrato, quasi a smussare i contorni di uno scenario che non viene del tutto assorbito da filtri d’astrazione.
Basta ascoltare “Forest Ghosts” e “Desert” per comprendere che potrebbe trattarsi della colonna sonora di un raffinato film d’animazione, laddove la musica conserva la capacità di ricalcare fedelmente i tratti essenziali del reale anche in un’ottica di completo artificio. Il canto di Julie e i riverberi profondi del violoncello avvicinano le atmosfere dei rituali drone-folk dei Natural Snow Buildings, sia nel loro periodo più lo-fi e solipsistico che in quello “cosmico” (“Valentine”, “Bombardment”).

Le armonie così sensibilmente plasmate contraddistinguono in prevalenza il lato A del disco, mentre i due brani finali al confronto somigliano a frame statici di un nastro magnetico, illusioni di immobilità solcate da linee distorte e andirivieni di feedback ondulati (“Milwaukee Protocol”) oppure graduali saturazioni di voci celesti e archi dall’eco prolungata (“The Gills”).
Sono questi i primi germogli di una primavera espressiva ancora in divenire, promessa con la quale Kranky potrà continuare a indicare la strada in relazione alle sonorità per cui è ancora oggi riverita.

14/09/2018

Tracklist

  1. Bird In Hand
  2. Forest Ghosts
  3. Desert
  4. Valentine
  5. Bombardment
  6. Golden Storm
  7. Milwaukee Protocol
  8. The Gills

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