Le commissioni si accumulano a ritmo sostenuto per Max Richter, ormai tra i nomi più richiesti in assoluto nel campo delle musiche per il cinema. Dopo il western revisionista “Hostiles” è la volta di un’altra grande produzione hollywoodiana: “White Boy Rick” di Yann Demange, già noto come regista di serie tv e al suo secondo lungometraggio dopo il war drama “‘71” (2014); è la vera storia di Richard Wershe Jr, che da adolescente negli anni 80 divenne informatore in incognito per l’Fbi sui traffici di droga a Detroit, salvo poi cadere a sua volta nel vortice della tossicodipendenza e dell’illegalità, fino a essere condannato all’ergastolo.
Sostenuto dalle interpretazioni del premiato Matthew McConaughey e della giovane promessa Richie Merritt, il crudo biopic è per contrasto racchiuso in una bolla sonora che fa convivere delicati intermezzi melodici per pianoforte e orchestra d’archi (“Nonviolent Offender”, “Baby Keisha”) assieme a pulsazioni ansiogene di sintetizzatori e altre tastiere elettroniche (“Get On The Ground”, “1985”). Già di per sé incline al manierismo, insomma, Richter stavolta sembra addirittura affidarsi alla consolidata formula del duo Reznor/Ross, vero responsabile di una primigenia rivoluzione espressiva nell’arte della soundtrack da “The Social Network” in poi.
Non che il compositore anglo-tedesco sia del tutto estraneo alla scrittura ambient – si pensi alle concilianti distese strumentali del colossale “Sleep” – ma certi chiaroscuri e nervature elettriche sarebbero difficilmente entrati a far parte del suo vocabolario standard senza tali illustri precedenti al servizio di David Fincher (arrivando a sfiorarne il plagio in “What’s My Take”, “Big Man Now” e “Wershe And Son”).
A differenza di progetti come “Taboo” e il sopracitato “Hostiles” – ma pensiamo anche al recente “Hereditary” di Colin Stetson – l’assenza di un’impronta fortemente distintiva nell’organico e di un filo narrativo parallelo escludono la possibilità che lo score possa esistere come sintesi autonoma del film. In parole povere, al giorno d’oggi una partitura come quella di “White Boy Rick” sarebbe indifferentemente applicabile a qualunque dramma o thriller psicologico, molto spesso approcciati in understatement e in seguito “soffocati” da una musica extra-diegetica atta ad accentuarne i risvolti emotivi più profondi. Un cliché nel cliché, e un problema che supera di gran lunga quello di una colonna sonora “risaputa”, in quanto influisce sul modo stesso di fare e percepire il cinema del nostro tempo.
20/09/2018