I Moaning dimostrano di avere le idee ben chiare e di non difettare di coraggio e ambizione (“Misheard”), già dalle prime note delineano senza incertezze i confini emozionali della loro musica, a volte aspra (“Don’t Go”), o disperata (“Does This Work For You”) ma raramente vulnerabile.
La sezione ritmica è ossessiva, possente, nonostante la struttura delle canzoni resti vicina ai dettami del pop, tra spunti alla Husker Du (“For Now”) e intuizioni alla Cure (“The Same”, “Useless”); quello che però manca è una scrittura più personale e ben definita. Anche il tono forzatamente glaciale della voce non sempre convince, lasciando nelle mani della buona tenuta strumentale tutto il vigore della dieci tracce, spesso prive di elementi caratterizzanti che le rendano distinguibili o memorabili.
Al di là dell’iniziale “Don’t Go”- alla quale spetta il compito di impostare il modello estetico della proposta - solo in “Artificial” la band riesce altresì a mettere a fuoco tecnica (il tocco deciso del basso e il suono abrasivo della chitarra) e composizione, grazie a una melodia avvolgente e rimarchevole.
Per il resto dell’album, i Moaning rimangono ancorati al profilo di potenziale cover band post-punk, ma l’ottima fama delle loro esibizioni live induce a sperare che le buone vibrazioni di questo esordio possano trovare in futuro una canalizzazione creativa più convincente, che non affidi il proprio fascino all’intensità del volume degli amplificatori o alla spigolosità del suono.
(23/03/2018)